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Rapporto 2011 sull'integrazione europea
della Fondazione Istituto Gramsci, del CeSPI e della Fondazione Italianieuropei
la difesa comune europea dopo il trattato di lisbona
a cura di Roberto Gualtieri e José Luis Rhi-Sausi
Il Mulino, Bologna 2011

pp. 298, € 24,00
ISBN 978-88-15-15030-1

Prefazione
di Roberto Gualtieri e José Luis Rhi-Sausi

La Questo rapporto vede la luce in uno dei momenti più deli-
cati dell’intera storia della costruzione europea, in cui le prin-
cipali politiche dell’Unione e le maggiori conquiste da essa
rea lizzate nel corso dell’ultimo quindicennio sono sottoposte a
fortissime tensioni. Se, infatti, a partire dal 2010 l’impatto della
crisi economico-finanziaria sull’Unione monetaria ha messo in
evidenza i limiti e le asimmetrie del modello di governance eco-
nomica definito nei trattati, nel corso del 2011 le conseguenze
della «primavera araba» si sono riverberate con forza sulle di-
mensioni dell’azione dell’Ue che più di altre erano state interes-
sate dai cambiamenti del nuovo quadro istituzionale: la Politica
estera e di sicurezza comune (la Pesc) con la sua «ancella» Po-
litica di sicurezza e difesa comune (Psdc) e lo Spazio di libertà,
sicurezza e giustizia (Slsg).
Il tutto in un contesto politico che vede le attuali classi di-
rigenti europee fortemente condizionate da un «primato della
politica nazionale» e che, sul piano istituzionale, si traduce
nella tendenza a privilegiare il metodo intergovernativo rispetto
a quello comunitario e, sul piano politico e programmatico, è
caratterizzato da un impianto conservatore, se non da un vero
e proprio slittamento a destra. Quest’ultimo, però, da un lato
non sembra rappresentare un argine all’ascesa di forze populi-
ste, dall’altro ostacola l’assunzione di scelte adeguate alle nuove
sfide economiche, sociali e politiche che il contesto internazio-
nale presenta all’Europa.
Per quanto riguarda la crisi economico-finanziaria, non c’è
dubbio che le innovazioni introdotte a partire dalle tumultuose
giornate del maggio 2010 siano molto significative. L’istituzione
di due meccanismi di sostegno finanziario, rispettivamente di
tipo intergovernativo (Efsf) e comunitario (Efsm), sulla base
dell’articolo 122.2 del Tfue, e la parallela decisione della Bce di
acquistare i titoli dei paesi in difficoltà hanno segnato una svolta
sul terreno della solidarietà interna all’area dell’euro, impensa-
bile fino a pochi mesi prima. Successivamente, le proposte legi-
slative della Commissione e i risultati della task force istituita dal
presidente del Consiglio europeo Van Rompuy hanno avviato
una riforma del patto di stabilità e di crescita e dei meccanismi
di governance economica di indubbio rilievo. Qualunque sarà
l’esito del negoziato tra Parlamento e Consiglio (che nel mo-
mento in cui scriviamo è in corso), la riforma determinerà un si-
gnificativo rafforzamento del coordinamento delle politiche eco-
nomiche nazionali, e in particolare della disciplina fiscale, sia sul
versante preventivo che su quello correttivo, oltre a migliorare
la sorveglianza degli squilibri macroeconomici.
Parallelamente, l’istituzione delle tre nuove autorità europee
su banche, assicurazioni e mercati e dell’European sistemic risk
board, pur con tutti i suoi limiti, definisce (grazie anche al ruolo
svolto dal Parlamento europeo nel procedimento legislativo) il
primo embrione di un vero e proprio sistema di vigilanza eu-
ropeo sui mercati finanziari. Infine, la riforma dell’articolo 136
del Trattato di Lisbona realizzata con procedura semplificata nel
marzo 2011 (e che per divenire operativa attende le 27 ratifi-
che nazionali), con la quale si consente l’istituzione di un fondo
salva-Stati permanente (Esm) che dal 2013 prenderà il posto
dell’Efsf e dell’Efsm, dà indubbia sostanza all’impegno poli-
tico a difendere la moneta unica e i suoi membri dagli attacchi
speculativi. È vero, come non ha mancato di rilevare il Parla-
mento europeo1, che si sarebbe potuto istituire un meccanismo
permanente senza ricorrere ad un impegnativo (e rischioso) pro-
cedimento di riforma del Trattato e, soprattutto, che sarebbe
stato auspicabile un meccanismo di tipo comunitario analogo
all’Esfm, invece di un fondo intergovernativo come quello deli-
neato dal nuovo comma 3 dell’articolo 136 del Tfue.
Ma, in ogni caso, un meccanismo di stabilità permanente
con una dotazione di base di 700 miliardi di euro, la possibilità
di emettere obbligazioni e quella di acquistare i titoli dei paesi
euro sul mercato secondario rappresentano un’innovazione di
grande rilievo, che per di più, grazie al compromesso strappato
dal Parlamento europeo (in base al quale si dovrebbero definire
i meccanismi che governeranno la condizionalità degli aiuti at-
traverso un regolamento), sarà saldamente collegata alle istitu-
zioni europee e al metodo comunitario.
E tuttavia, come mette bene in evidenza Ronny Mazzocchi
nella sua rubrica, queste significative novità non appaiono suffi-
cienti ad affrontare i problemi di fondo dell’economia europea
e a fronteggiare la minacciosa crisi dei debiti sovrani di alcuni
pae si. Una governance tutta fondata sul rigore di bilancio, infatti,
non sembra in grado né di rilanciare la crescita e lo sviluppo, né
di rassicurare i mercati sulla solvibilità delle economie più fragili
ed esposte agli attacchi speculativi. Al contrario, il rischio con-
creto è quello di innescare un circolo vizioso tra dinamiche re-
cessive e sfiducia dei mercati (che appaiono preoccupati più dalla
possibilità di uscita dalla moneta unica che dal deficit in quanto
tale), di fronte al quale le pure cospicue risorse dei meccanismi di
stabilità attuali e di quello futuro potrebbero risultare inadeguate.
Sono insomma i presupposti concettuali e politici della strategia
prevalsa nel Consiglio europeo che non convincono: da un lato,
infatti, l’aumento dei deficit pubblici non dovrebbe essere con-
siderato una causa, ma un effetto della crisi e della conseguente
decisione di molti governi di sostenere con cospicue iniezioni
di denaro pubblico il traballante sistema bancario. Dall’altro, la
tesi secondo cui politiche fiscali restrittive avrebbero un effetto
espansivo, oltre a essere assai discutibile sul piano dottrinale e su
quello «storiografico», risulta smentita dai fatti.
Per questo, occorre definire e mettere in campo una visione
differente della governance economica europea, capace di affian-
care alla stabilità e alla riduzione dei deficit il sostegno alla cre-
scita e allo sviluppo e, allo stesso tempo, in grado di rafforzare
la dimensione comunitaria rispetto a quella intergovernativa. Le
idee non mancano: creazione di un’Agenzia europea del debito
ed emissione di eurobond per finanziare investimenti in infra-
strutture, riforma del mercato finanziario volta a facilitare la ca-
nalizzazione del risparmio privato verso investimenti a lungo ter-
mine rispetto agli impieghi speculativi e di breve periodo, tassa
sulle transazioni finanziarie, riforma del sistema delle risorse
proprie che consenta un rafforzamento del bilancio dell’Ue,
correzione degli squilibri macroeconomici anche attraverso un
incremento dei salari reali dei paesi in surplus. Ciò che occorre
è uno spostamento degli equilibri politici nell’Ue, sia in Parla-
mento sia nel Consiglio, e la formazione di una diversa maggio-
ranza al tempo stesso più progressista e più europeista.
Anche sul terreno dell’azione esterna dell’Ue i limiti emersi
sono di natura sia istituzionale sia politica. Non c’è dubbio, in-
fatti, che le innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona in
questo ambito siano state significative. In particolare, l’attribu-
zione all’Alto rappresentante delle funzioni di presidente stabile
del Consiglio affari esteri e di vicepresidente della Commis-
sione, responsabile sia del tradizionale portafoglio delle relazioni
esterne sia del coordinamento della più generale azione esterna
della Commissione, è un’innovazione ricca di potenzialità. Sta-
bilendo un ponte tra la Politica estera e di sicurezza comune,
definita da procedure di tipo intergovernativo, e la dimensione
comunitaria dell’azione esterna dell’Unione, l’Alto rappresen-
tante può rendere più coerente ed efficace l’azione dell’Ue re-
alizzando sinergie tra strumenti e politiche differenti e valoriz-
zando la peculiarità dell’approccio europeo, fondato sul multila-
teralismo, sul primato della diplomazia, sulla cooperazione e sul
sostegno alla democrazia. Con l’istituzione del Servizio europeo
per l’azione esterna (Seae), l’Alto rappresentante/vicepresidente
si è finalmente potuto dotare di uno strumento operativo che,
anche grazie al ruolo svolto dal Parlamento europeo nel difficile
negoziato con il Consiglio, dispone di ampie competenze ed è
saldamente collegato alla Commissione (oltre che sottoposto a
un forte controllo parlamentare).
E tuttavia, è indubbio che le potenzialità derivanti da questo
nuovo assetto non si siano tradotte in una politica estera europea
finalmente efficace e coerente. Come mette in evidenza Raffaello
Matarazzo nella sua rubrica, non sono mancati successi impor-
tanti, come la mediazione realizzata nello scorso settembre con
la Serbia in occasione della votazione della risoluzione sul Ko-
sovo all’Onu o l’attribuzione all’Ue di un nuovo status nell’as-
semblea generale delle Nazioni unite. Ma l’esplosione delle ri-
volte democratiche nei paesi arabi, e in particolare la crisi libica,
ha messo in evidenza, oltre all’inadeguatezza del tradizionale
approccio dell’Ue nei confronti del Mediterraneo, la persistente
fragilità della sua azione esterna e le difficoltà a svolgere un
ruolo incisivo in un teatro così cruciale per i destini del nostro
continente. Facendo poi emergere una preoccupante divisione
strategica e politica sul terreno della gestione delle crisi, che ri-
schia di vanificare i notevoli sforzi compiuti in questi anni e di
mettere in discussione le prospettive della Politica di sicurezza
e difesa comune. Al momento in cui scriviamo, la crisi libica è
ancora in corso e una sua soluzione non appare all’orizzonte
(mentre è troppo presto per valutare l’annunciata revisione della
dimensione meridionale della politica di vicinato). I limiti e le
potenzialità della Politica di sicurezza e difesa comune, che tale
crisi ha in qualche modo confermato, sono tuttavia analizzati in
modo approfondito nella monografia del volume, per una sintesi
e una presentazione della quale rimandiamo all’introduzione di
Roberto Gualtieri e Raffaello Matarazzo.
Quel che è certo è che, analogamente a quanto avviene sul ter-
reno della governance economica, anche per la Politica estera, di
sicurezza e difesa, i problemi dell’Europa sono insieme di natura
istituzionale e politica. Sul piano istituzionale, pesa senza dubbio
il fatto che, a dispetto delle molteplici innovazioni introdotte nel
Trattato di Lisbona e del superamento della struttura a «pilastri»
dell’Ue, la natura intergovernativa delle procedure decisionali in
materia di Pesc e di Psdc non sia stata sostanzialmente intaccata.
Questo elemento ha sicuramente privato la Pesc/Psdc di quello
«scudo comunitario», che invece è stato introdotto dal Trattato
nei confronti dell’ex «terzo pilastro», ossia dello Spazio di libertà,
sicurezza e giustizia, rendendo quindi particolarmente forte l’im-
patto delle divergenze politiche tra i principali paesi dell’Ue.
A loro volta, tali divergenze appaiono il frutto di una visione
conservatrice e fortemente condizionata da un malinteso pri-
mato dell’interesse nazionale, che non sembra in grado di fare i
conti adeguatamente con il fatto che gli spazi per un autonomo
protagonismo internazionale dei singoli paesi europei si sono or-
mai ridotti drasticamente e l’unica possibilità di avere un ruolo
significativo nella definizione di un nuovo assetto del sistema
internazionale è quella di rendere finalmente l’Unione europea
un attore credibile sul terreno della Politica estera e di quella di
sicurezza e difesa.
La rubrica di Fabrizia Panzetti analizza in modo puntuale
le profonde innovazioni che il Trattato di Lisbona ha introdotto
nell’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. A diffe-
renza che nel caso della Politica estera e di sicurezza comune, la
comunitarizzazione di questo ambito delle politiche europee ha
innescato delle dinamiche impreviste, che hanno visto il Parla-
mento europeo giocare un ruolo centrale. Nel rinnovo dell’ac-
cordo Swift sull’uso dei dati finanziari dei cittadini europei da
parte degli Stati Uniti nel quadro della lotta al terrorismo e nella
vicenda dell’espulsione dei rom in Francia, il Parlamento ha
esercitato pienamente le sue prerogative legislative e politiche,
contribuendo in misura sostanziale alla difesa dell’acquis comu-
nitario e dei diritti dei cittadini europei di fronte alla debolezza
di altre istituzioni e al tentativo francese di giocare spregiudi-
catamente la carta «securitaria» a fini di politica interna. Le vi-
cende dei mesi successivi, con lo scontro italo-francese su Schen-
gen e la successiva lettera comune Berlusconi-Sarkozy, ma anche
con la sentenza della Corte europea di giustizia contro il reato
di clandestinità introdotto nella legislazione italiana, hanno con-
fermato questa duplice tendenza. Da una parte, la forte spinta
di alcuni governi conservatori europei a rinazionalizzare le poli-
tiche relative allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia e a irri-
gidire l’azione di contrasto all’immigrazione irregolare e alla li-
bera circolazione di alcune minoranze nel territorio dell’Unione;
dall’altra, l’efficacia di uno «scudo comunitario» che, in questo
ambito, vede un forte ruolo della Corte europea di giustizia e
assegna al Parlamento europeo una funzione cruciale nella di-
fesa dei trattati e dei diritti dei cittadini dell’Unione. Nei pros-
simi mesi vedremo se questa inedita funzione di vero «custode
dei trattati» e di propulsore della loro effettiva implementazione
verrà esercitata pienamente ed adeguatamente nei confronti
dell’annunciata revisione di Schengen e nella sfida complessa,
ma decisiva, di dare piena attuazione al principio di solidarietà
sancito dall’articolo 80 Tfue nell’ambito delle politiche relative
al controllo delle frontiere, all’asilo e all’immigrazione.
Le significative dinamiche che hanno caratterizzato le poli-
tiche economiche e monetarie, l’azione esterna dell’Ue e lo Spa-
zio di libertà, sicurezza e giustizia offrono ampio materiale di
riflessione sulle trasformazioni della peculiare forma di governo
dell’Ue e degli equilibri tra le diverse istituzioni innescate dal
Trattato di Lisbona e dalle turbolente vicende degli ultimi mesi.
La rubrica di Sandro Guerrieri analizza puntualmente queste
trasformazioni, sottolineando l’emergere di una nuova dialettica
tra un Consiglio europeo, che sempre più assume un ruolo po-
litico centrale intorno al suo presidente stabile e all’azione dei
suoi membri più influenti, ed un Parlamento europeo rafforzato
non solo nelle prerogative, ma anche nella volontà di agire ef-
fettivamente come rappresentante diretto dei cittadini europei
(secondo la nuova formulazione introdotta dal Trattato di Li-
sbona). Di fronte alla sempre più evidente debolezza della Com-
missione, questa nuova dialettica determina una sorta di trasfor-
mazione della tradizionale dinamica tra Commissione e Stati
membri, rinnovando significativamente sia la polarità comunita-
ria sia quella intergovernativa e politicizzandole entrambe. Nel
Consiglio europeo, infatti, la spinta intergovernativa si esprime
su un terreno nuovo e le innovazioni introdotte nella governance
economica rendono legittimo il riferimento a un nuovo «me-
todo dell’Unione», distinto sia da quello intergovernativo sia da
quello comunitario. A sua volta, la difesa del metodo comunita-
rio esercitata dal Parlamento connota quest’ultimo politicamente
in forme inedite e assai differenti da quelle che hanno caratteriz-
zato il tradizionale approccio funzionalista, assegnando un ruolo
centrale ai gruppi politici europei e spingendo il Parlamento
stesso ad un dialogo a tutto campo con il Consiglio europeo,
che travalica apertamente i confini delle prerogative legislative e
di bilancio definite dai trattati e connota in forma nuova la sua
funzione generale di indirizzo e di controllo politico.
Questo processo di crescente politicizzazione delle dinami-
che interistituzionali è ancora agli inizi ed è aperto a esiti diffe-
renti. Esso rappresenta tuttavia un fatto nuovo, che impone di
guardare agli appuntamenti elettorali dei prossimi tre anni come
ad un unico grande ciclo europeo, in cui le elezioni nazionali in
programma (a cominciare da quelle in Francia, Italia e Germa-
nia) e poi il rinnovo del Parlamento europeo (nel 2014) sotto-
porranno alla verifica dei cittadini l’attuale indirizzo conserva-
tore che caratterizza le politiche dell’Ue e i suoi risultati e con-
sentiranno di confermarne il corso o di imprimere una svolta,
che le vicende economiche e politiche degli ultimi anni fanno
apparire necessaria e urgente.

 
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