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ANNALE
XVI Gramsci
nel suo tempo - 2 voll.
a cura di Francesco Giasi Roma,
Carocci, 2008
p. 943, 2 €
92,00 (2 voll.)
ISBN 978-88-430-5087-1 |
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Prefazione
di Giuseppe Vacca
Fin dal 1957 i decennali della morte di
Gramsci sono stati l’occasione di convegni di studio
nazionali e internazionali, quasi sempre promossi dall’Istituto
che ne porta il nome e preparati con molta cura. Si potrebbe
dire che costituiscano una “tradizione”, caratterizzata
tanto da costanti quanto da variazioni. Fra le prime si
può sottolineare il metodo storico, vale a dire
lo sforzo di ricondurre il pensiero di Gramsci al contesto
storico; il confronto fra studiosi delle più diverse
ispirazioni culturali e campi di ricerca, influenzati
dalla lettura di Gramsci ma non necessariamente specialisti
del suo pensiero e frequentemente “anti-gramsciani”;
l’obiettivo di fare un bilancio della diffusione
dei suoi scritti e di promuoverla; il coinvolgimento di
figure eminenti di studiosi stranieri variamente influenzati
dal pensiero di Gramsci. Fra le seconde ci si può
limitare a indicare l’obiettivo di prospettarne
una interpretazione e di promuovere un confronto fra gli
studiosi di Gramsci italiani e stranieri.
Gli elementi indicati ricorrono in tutti i convegni decennali,
variamente combinati fra loro. L’incidenza maggiore
o minore dell’uno e dell’altro elemento è
riconducibile principalmente ai seguenti fattori: il rapporto
dell’Istituto Gramsci con il PCI; la situazione
politica e culturale del periodo; gli sviluppi degli studi
gramsciani e il confronto anche molto aspro fra le diverse
interpretazioni.
Il rapporto del Gramsci col PCI va specificato. Fino al
1982 l’Istituto era una sezione di lavoro del Comitato
centrale del partito. Ma solo il primo convegno, ispirato
da Togliatti e intitolato Studi gramsciani (Roma, gennaio
1958), si può considerare una proiezione diretta
della politica culturale del PCI. Nella sua realizzazione
gli elementi indicati presentavano un notevole equilibrio,
ma prevaleva l’intento di inaugurare una nuova interpretazione
di Gramsci affidata principalmente alla relazione di Togliatti
e consona all’innovazione politica che egli cercava
di promuovere (la via italiana al socialismo). Inoltre
veniva dato grande impulso alla storicizzazione del pensiero
di Gramsci e al confronto fra gli interpreti italiani
e stranieri. Il secondo convegno, Gramsci e la cultura
contemporanea (Cagliari, aprile 1967), fu invece promosso
da un gruppo di professori delle università di
Cagliari e di Sassari. Non si può dire che non
fosse in sintonia con la politica culturale del partito,
che d’altronde aveva condiviso l’iniziativa,
ma il convegno si caratterizzò principalmente per
un bilancio e una promozione della presenza di Gramsci
nella cultura accademica ricalcandone le partizioni disciplinari
e distanziando profondamente il Gramsci “pensatore”
e “uomo di cultura” dal politico. Il terzo
convegno, Politica e storia in Gramsci (Firenze, dicembre
1977), fu promosso e preparato con cura dall’Istituto
Gramsci ma non si può dire che fosse ispirato dalla
direzione del partito. Nella sua impostazione prevalse
l’impronta del gruppo di intellettuali più
direttamente impegnati nell’attività dell’Istituto.
Erano al tempo stesso studiosi e dirigenti di partito
palesemente critici verso l’impianto del convegno
cagliaritano e, avvalendosi soprattutto dell’edizione
critica dei Quaderni pubblicata l’anno prima, spostarono
l’accento sull’unitarietà della figura
di Gramsci come pensatore e uomo d’azione, e soprattutto
come teorico della transizione al socialismo. Non è
facile dire in che misura l’iniziativa fosse condivisa
o subìta dalla direzione del partito; certo è
che tra il volume che raccoglie le relazioni preparatorie
e che venne pubblicato con notevole anticipo sul convegno,
e il volume che raccoglie gli atti del convegno stesso
appaiono rimarchevoli asimmetrie, probabilmente originate
dall’esigenza di diluire l’impatto dell’impostazione
iniziale del convegno sull’indirizzo politico del
PCI, che in quel periodo era impegnato nella difficile
vicenda dei governi di solidarietà nazionale. Anche
il quarto convegno fu ideato e promosso dall’Istituto
Gramsci, divenuto nel frattempo Fondazione, e aveva una
connotazione prevalentemente interpretativa. Il tema Morale
e politica in Gramsci (Roma, giugno 1987) e l’impostazione
del convegno, i cui atti non vennero pubblicati, risentivano
delle incertezze e dell’eclettismo dell’indirizzo
culturale del partito, nel quale la nozione stessa di
“politica culturale” era ormai desueta.
Fra gli anni Settanta e Ottanta, grazie all’edizione
critica dei Quaderni e alla loro crescente fortuna internazionale,
Gramsci era ormai generalmente considerato un classico
del pensiero politico del Novecento e tuttavia la sua
influenza nella cultura italiana era drasticamente scemata.
Paradossalmente fu l’89 a favorirne la ripresa di
interesse dopo la lunga agonia del PCI che aveva assecondato
l’eclissi e l’emarginazione del suo pensiero.
L’iniziativa più rilevante dell’Istituto
fu la proposta di una Edizione nazionale degli scritti
di Gramsci, che fra l’altro ne sancisse il riconoscimento
di classico. La proposta ebbe una gestazione travagliata
e il progetto si avviò soltanto nel 1998. Ma la
sua lenta maturazione aveva già influito sul modo
di impostare le celebrazioni del decennale. Il convegno
del 1997, Gramsci e il Novecento (Cagliari, aprile 1997),
si proponeva ancora una volta di “interrogare”
il pensiero gramsciano “a partire dal presente”,
ma lo faceva in modo diverso dal passato. Già la
scelta del tema suggeriva l’intento di una più
meditata storicizzazione. In secondo luogo, i temi delle
relazioni originavano dalle nuove ricerche stimolate dal
convegno del 1997 che aveva messo l’enfasi sui concetti
di “rivoluzione passiva” e “crisi organica”
spostando il focus sulla interpretazione gramsciana del
moderno, dell’americanismo e del fascismo, e innovato
il concetto di egemonia. Il convegno del 1997 consentiva,
quindi, di proporre a interpreti sia italiani che stranieri
sondaggi ad ampio spettro su nodi cruciali della storia
del Novecento, impiegando come reagente le categorie fondamentali
dei Quaderni. Riproporre la lettura di Gramsci mettendo
a fuoco la relazione fra il suo pensiero e il XX secolo
era un modo per rilanciare il metodo storico come sua
chiave interpretativa, tenendosi però a distanza
dalle dispute ideologiche e dalle letture finalizzate
alla politica contingente dell’una o dell’altra
fazione.
In quel solco abbiamo lavorato al convegno del 2007 il
cui titolo manifesta l’intenzione di una storicizzazione
integrale. Ci sembra utile un chiarimento di tale proposito.
La scelta di promuovere l’Edizione nazionale degli
scritti di Gramsci ha inteso corrispondere a una ridefinizione
dei compiti fondamentali della Fondazione. Fra i primi
a riconoscere a Gramsci lo status di classico, il più
autorevole è stato Valentino Gerratana che non
a caso propose quel concetto proprio nel momento in cui
licenziava l’edizione critica dei Quaderni ?. In
seguito Gerratana tornò su quella definizione e
nel 1991 la specificò nel modo seguente: «classico
è un autore che vale la pena di rileggere e reintepretare
alla luce di nuove esigenze e di nuovi problemi»
?. È una delle definizioni possibili, certamente
legittima per il “filosofo individuale”, ma
sarebbe valida per una fondazione culturale che porta
il nome di Gramsci? Sarebbe valida dopo i progressi compiuti
dalla critica gramsciana in settanta anni? Gramsci è
un autore postumo che non ha lasciato “opere”,
ma una ingente mole di scritti giornalistici, di interventi
politici, lettere e appunti inediti che costituiscono
lo zibaldone dei manoscritti del carcere. È, quindi,
un “classico” del tutto particolare, i cui
scritti diventano “opere” attraverso l’accurato
lavoro degli editori e il cui pensiero vive e muta secondo
i progressi e le differenze delle sue edizioni (non c’è
edizione di un “classico” che non ne proponga
anche una o più interpretazioni, e ciò è
vero soprattutto per un autore come il nostro).
La Fondazione Istituto Gramsci avviò il progetto
della nuova edizione critica di tutti gli scritti di Gramsci
perché gli sviluppi della documentazione e della
ricerca dimostravano la necessità e suggerivano
i criteri per superare le edizioni precedenti: degli scritti
giornalistici e politici, che richiedevano una verifica
delle attribuzioni e un apparato critico che ne consentisse
la migliore contestualizzazione; dell’epistolario,
che non poteva più essere limitato alle lettere
scritte da Gramsci fra il 1908 e il 1937, ma doveva comprendere
anche quelle dei suoi corrispondenti e i “carteggi
paralleli”: specificatamente quelli tra Piero Sraffa
e Tania Schucht, e fra Tania e i suoi familiari, entrambi
essenziali per la biografia del prigioniero; e, infine,
dei Quaderni, poiché l’esclusione dei quaderni
di traduzioni dall’edizione Gerratana appariva sempre
più manifestamente ingiustificata e più
affinati criteri di datazione delle note erano stati elaborati
nel frattempo. D’altro canto, il crescente sviluppo
delle traduzioni delle Lettere e dei Quaderni, la diffusione
degli studi gramsciani nel mondo, la loro differenziazione
disciplinare, politica e culturale, ci facevano avvertire
come una responsabilità della cultura italiana
quella di apprestare una edizione critica integrale degli
scritti di Gramsci, la più accurata che il progredire
delle ricerche e della documentazione potesse consentire:
un compito che solo la “cultura nazionale”
che aveva originato il suo pensiero poteva assolvere,
e che la Fondazione Istituto Gramsci doveva assumere facendone
il proprio principale cimento.
In questa scelta vi è forse un modo diverso di
concepire la “classicità” di Gramsci.
Si potrebbe dire così: “classico” è
un pensatore dopo il quale chi incroci i grandi problemi
su cui si era tormentata la sua riflessione non può
– o almeno non dovrebbe – fare a meno di confrontarsi
col suo pensiero. Non è una definizione inconciliabile
con quella proposta da Gerratana. Certamente classico
«è un autore che vale la pena di rileggere
e reinterpretare alla luce di nuove esigenze e di nuovi
pensieri», ma fornire gli strumenti che consentano
di rileggerlo su basi filologiche e critiche più
solide è una garanzia per rispettarne «il
ritmo del pensiero in isviluppo» e immunizzare l’interprete
dal rischio di «sollecitare i testi». Ciò
è tanto più vero quando siano nuove esigenze
e nuovi pensieri che spingono a rivolgersi alle pagine
illuminanti di un classico della filosofia della praxis.
Storicizzare non è relativizzare, né tanto
meno neutralizzare. Quanto più si storicizza, tanto
più si moltiplicano e si arricchiscono ma anche
ridefiniscono e trovano fondamento le prospettive di lettura
dei testi, e l’interprete può verificare
la pertinenza e la validità delle «nuove
esigenze» e dei «nuovi pensieri» che
lo muovono a reinterrogare l’autore.
Il lavoro più che decennale per l’Edizione
nazionale è alla base del convegno del 2007. La
nuova ricerca biografica cominciata nel 1990, l’acquisizione
di nuovi documenti riguardanti la vita di Gramsci, la
storia del PCI e del comunismo internazionale, i progressi
degli studi gramsciani in Italia e all’estero, l’affinamento
degli strumenti filologici hanno impegnato le ricerche
di un numero cospicuo di studiosi giovani e non più
giovani. La dispersione dei documenti negli archivi italiani
ed esteri, e la complessità del lavoro dei curatori
dei volumi, non ci hanno permesso di procedere più
celermente, ma ora che le ricerche sono sostanzialmente
ultimate questo sarà possibile. Attraverso la preparazione
dell’Edizione nazionale sono cresciuti nuovi studiosi
e nuove ricerche. Il complesso dell’esperienza accumulata
ci permette di tentare una storicizzazione complessiva
dell’opera di Gramsci che nei precedenti convegni
non si sarebbe potuta azzardare. Conviene dire dunque
qualcosa, in conclusione, dei criteri seguiti nella impostazione
del convegno e del modo in cui se ne presentano i risultati.
Nel 2007 si sono svolti decine di convegni dedicati a
Gramsci in Italia e nel mondo, a molti dei quali la Fondazione
ha partecipato o che ha contribuito a realizzare. Da parte
sua non si è limitata a promuovere, in collaborazione
con la Fondazione Gramsci di Puglia, il convegno di Bari-Turi,
ma ha anche dedicato un impegnativo convegno internazionale
all’influenza di Gramsci sui Cultural Studies, Subaltern
Studies e Postcolonial Studies promosso insieme alla International
Gramsci Society-Italia (Roma, aprile 2007). Gramsci nel
suo tempo, invece, è stato riservato ai ricercatori
italiani con l’obiettivo di verificare la maturità
degli studi gramsciani in rapporto al compito di ricostruire
i contesti del suo pensiero, la rete delle sue interazioni
e soprattutto il legame tra teoria e biografia. Abbiamo
inteso così mettere alla prova la nostra capacità
di contribuire a quel compito della cultura italiana di
cui abbiamo parlato a proposito dell’Edizione nazionale,
e non è un caso che molti degli studiosi che vi
partecipano compaiano fra i relatori del convegno. Naturalmente
ricostruire i contesti del pensiero e dell’azione
di Gramsci richiede la cooperazione di studiosi di varie
discipline umanistiche che interagiscono con la sua opera
anche quando non ne siano degli “specialisti”.
Il limite delle nostre conoscenze e dello spettro dei
ricercatori di cui potevamo disporre non ci ha permesso
di coprire tutti i tasselli di una figura così
poliedrica come quella di Gramsci. Ci pare però
di aver compiuto un passo avanti significativo nel porre
le basi di una sua biografia di cui la cultura italiana
e la comunità scientifica internazionale ancora
non dispongono.
Il convegno ha richiesto una lunga preparazione e un lavoro
impegnativo di coordinamento delle ricerche e delle giornate
in cui sono state presentate. L’ordine in cui vengono
raccolte ci sembra migliore di quello seguito durante
i lavori del convegno. Inoltre, le relazioni sono state
rielaborate dagli autori tenendo conto del confronto sviluppatosi
nel convegno e compiendo un encomiabile sforzo per contenere
il proprio scritto nei limiti consentiti dal pur ponderoso
volume degli atti.
Non spetta a noi valutare i risultati raggiunti; ad ogni
modo non possiamo esimerci dal sottolineare che l’insieme
delle relazioni costituisce una proposta di biografia
politica e intellettuale di Gramsci molto più ricca
e scandita – nei temi e nella periodizzazione –
di quanto finora non si disponesse. Molte delle ricerche
svolte per il convegno prospettano novità di lettura
particolarmente significative. Nel complesso ci sembra
che l’inquadramento storico più accurato
del pensiero di Gramsci si riveli produttivo di innovazioni
teoriche molteplici che non riguardano solo l’interpretazione
dell’autore, ma sono ricche di suggestioni per la
ricerca storica, filosofica e critica in generale. Vale
dunque il criterio che quanto più si storicizza
il pensiero di un classico, tanto più se ne rigenera
la vitalità, aprendo la sua opera a innovazioni
euristiche plurali, come è giusto che sia. Perciò
sono molto sentiti i ringraziamenti agli studiosi che
hanno contribuito al convegno, ai collaboratori dell’apparato
tecnico della Fondazione Istituto Gramsci e della Fondazione
Gramsci di Puglia, e alla Regione Puglia che, grazie alla
sensibilità del presidente Nichi Vendola e dell’assessore
alla Cultura e al Mediterraneo Silvia Godelli –
peraltro valorosi intellettuali di formazione gramsciana,
oltre che politici –, ci ha consentito di realizzarlo.
Il ringraziamento che rivolgiamo loro è ancora
più sentito in quanto ci hanno permesso di svolgere
il convegno anche nella cittadina in cui Gramsci, recluso,
concepì e scrisse la maggior parte dei quaderni
e delle lettere dal carcere.
Fra coloro che avevano aderito con entusiasmo all’iniziativa
c’era Giorgio Sola, studioso di scienza politica
finissimo, che avrebbe dovuto svolgere una relazione sui
rapporti di Gramsci con l’elitismo, ma venne a mancare
pochi mesi prima del convegno. Era stato un interlocutore
sensibile dei nostri studi gramsciani e uno dei pochi
politologi italiani che avesse Gramsci nel proprio bagaglio
teorico e culturale. Inoltre era un amico, sobrio e riservato,
ma intensamente partecipe della comune passione etico-civile.
Lo ricordammo brevemente in apertura del convegno e lo
ricordiamo ancora dedicandogli la pubblicazione degli
atti. |
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