La mostra a cura
di Caterina d'Amico de Carvalho è aperta dall'albero
genealogico della famiglia Visconti e formata da una
raccolta di 187 fotografie incorniciate con passe-partout
realizzato in cartone pregiato color panna e montate
su cornici (cm 55 x 65) in mogano con vetro.
Le fotografie fanno parte del cospicuo Archivio
Luchino Visconti di proprietà della Fondazione,
dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza
Archivistica per il Lazio. Le immagini della Mostra
seguono Luchino Visconti dalla nascita, fino alle prime
fasi della realizzazione della sua prima regia cinematografica
nel 1942 ed offrono un'ampia e documentata testimonianza
dell'ambiente familiare e del contesto storico, sociale
e culturale in cui si inserisce la vita del grande regista.
Innanzitutto le fotografie delle famiglie dei Visconti
e degli Erba e del particolare ambiente sociale e culturale
della Milano di fine Ottocento e di inizio Novecento.
Altre foto riguardano l'infanzia e l'adolescenza di
Luchino. Le ulteriori foto della mostra riprendono l'esperienza
parigina che costituisce uno straordinario allargamento
di orizzonti culturali e consente a Visconti di incontrare
artisti ed intellettuali come Jean Cocteau, Boris Kochno,
Andre Gide, il ballerino Serge Lifar, il commediografo
Bernstein, il musicista Kurt Weill, mecenati come la
viscontessa Marie Laure de Noailles e il visconte Charles
de Noailles e infine Marlene Dietrich e Coco Chanel.
Nell'ambito dell'esposizione e in coincidenza con la
Mostra di Venezia è stato proiettato il film
Luchino Visconti, la vita
come romanzo che Carlo Lizzani ha dedicato al
regista raccontando la sua vita come un film. «Lizzani
è riuscito a strappare Visconti dall'iconografia
zelantemente costruita e sorvegliata dalle vestali per
restituircelo in un'insolita vivezza. Ma il suo resta
pur sempre – indispensabile, attento – un
punto di partenza, un percorso troppo rettilineo e troppo
poco inquieto. E la cui principale preoccupazione rimane
quella di ripetere che Visconti non era un decadente
ma un raccontatore della decadenza. Come se decadere
non significasse attingere all' immensa tavolozza del
possibile»
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