Giuseppe Vacca, Saverio Ricci (a cura di)
Il Novecento di Eugenio Garin
Atti del convegno promosso dalla Fondazione Istituto Gramsci in collaborazione con l'Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 25-27 febbraio 2010
Istituto della Enciclopedia Italiana, Fondazione Istituto Gramsci, Roma 2011

 
p. 428, € 29,00
ISBN 978-88-12-00058-6 
discorso inaugurale
di Giuliano Amato

Signor Presidente, Signori Presidenti dell’Accademia Nazionale dei Lincei e della Fondazione Istituto Gramsci, colleghi ed amici, l’iniziativa di oggi in qualche modo conclude l’anno inaugurato a Firenze, alla Sua presenza, Presidente, il 6 marzo 2009, nel Salone dei Cinquecento, con il convegno su Eugenio Garin: Dal Rinascimento all’Illuminismo, organizzato, come ricordiamo, dall’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento e dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove non a caso Garin si era trasferito nel ’74, ad insegnare proprio Storia del pensiero del Rinascimento.
In questa occasione noi abbiamo l’onore di avere il Suo alto patronato; abbiamo il patrocinio dell’Accademia Nazionale dei Lincei, della quale Garin fu socio, e alla conoscenza della cui storia diede un concreto contributo scientifico, dedicato all’età e alle personalità delle sue origini, nella Roma del primo Seicento; e abbiamo promosso il convegno in collaborazione con la Fondazione Istituto Gramsci, che in tutti questi anni ha lavorato su Garin. E la Sua presenza qui sta a sottolineare, come nell’occasione fiorentina, il significato civile della figura di Eugenio Garin, che fu maestro di studi storici e filosofici per molte generazioni di studiosi, ma anche di semplici cittadini, e interprete della vicenda del suo tempo.
In un libro, che quelli della mia generazione avevano sul tavolo quando erano studenti, La filosofia come sapere storico, pubblicato nel ’59, egli parlava dello studioso di filosofia come di uno studioso partecipe alle indagini sulla storia della scienza, ma soprattutto del travaglio della vita politica e morale del suo tempo. E quindi «Garin e il Novecento» è un tema per l’Istituto Treccani, ed è giusto che sia in questa sede che se ne parli, perché fu proprio per la Treccani che Garin scrisse contributi fondamentali sul Novecento, per una Treccani con la quale ha sempre intrattenuto un rapporto, che forse qualcuno dovrebbe indagare, anche perché la posizione di Garin sulla Treccani è una posizione di grande interesse.
Tutti sanno che non aveva collaborato con l’Enciclopedia Italiana prima della guerra. Non partecipò ad un’opera di cui ha scritto, rispetto a quel tempo, che vi coglieva un’ambigua unità della intellighenzia italiana: «perseguitati e persecutori insieme, tiranno compreso». Chi ricorda le voci del tempo sa che cosa significa questo, e tuttavia nel dopoguerra, a partire dai tardi anni Settanta, comincia una intensa collaborazione di Garin con la Treccani. Entra nel Consiglio Scientifico, del quale fa par te dal ’79 al ’98, scrive tre voci fondamentali per l’Enciclopedia del Novecento, e la sua collaborazione all’Enciclopedia Italiana di quegli anni comprende, sempre per gli studi novecenteschi, la voce Filosofia, che compare nella IV Appendice nel 1978. In quella stagione, per l’Enciclopedia del Novecento, scrive dunque Filosofia, pubblicata nel ’77, scrive Storicismo, pubblicata nell’’84, e scrive per la stessa opera un sottolemma seminascosto, che non tutti hanno letto perché sta incastonato nella voce Relatività: Einstein e la filosofia. Questi sono contributi di grande rilievo, i cui fili Garin stesso raccoglie nel testo Intellettuali italiani del XX secolo, ripubblicato di recente sul «Giornale critico della filosofia italiana».
Sono voci straordinarie, che sono andato in parte a rileggere, in parte, quella di Einstein, a leggere, perché non la conoscevo; magistrali non soltanto per i contenuti, ma anche per il modo straordinariamente efficace e limpido con cui tutte le vicende del pensiero filosofico del XX secolo vengono snodate in quelle poche pagine della voce Filosofia per Enciclopedia del Novecento, che inizia con un avvio quasi da romanzo, che affascina subito: una filosofia che non può più essere modello del sapere o sintesi della storia, come la volle il positivismo, che non può più essere metafisica, come potrà sopravvivere? Ecco, Garin parte da questa domanda, e attraversa tutte le vicende del secolo, e ovviamente si avvicina sempre di più alla filosofia come discorso sulla filosofia indisgiungibilmente storico e teorico, come forza traente di una vicenda nella quale lo storicismo, su cui tornerà, ha pregi e difetti; nella quale alla fine, lo dirà nella IV Appendice, arriva alle stesse conclusioni di Popper.
Questo è di grande rilievo per chi non conosca a sufficienza Garin: questa sua attenzione e consonanza con Popper. Infatti, nella voce Filosofia post 1945 riservata alla IV Appendice, citando appunto Popper, Garin scrive della filosofia come di indagine critica delle scienze, indagine sul nostro posto nell’universo e sul problema della conoscenza di questo universo; ed è qui che incontra Einstein, questo filosofo implicito. Garin accetta la definizione di Einstein come filosofo implicito, di cui dice che potrebbe costituire la premessa di una nuova critica della ragione, come Newton era stato la premessa di quella di Kant, e rifiuta giustamente una versione positivistica di Einstein, di cui cita il passaggio relativo alla derivazione della scoperta scientifica non dai soli dati, ma dalla intuizione. È interessante, per pensare al rapporto tra Garin e la Treccani, cogliere nella voce Filosofia un passaggio molto critico su Gentile, ed è, se non ricordo male, l’unico passaggio rilevante in cui lo cita. «... non è il caso di analizzare le trascrizioni ‘idealistiche’ di Giovanni Gentile, e del suo attualismo, col suo battere sul “progresso e sull’incremento della vita dello spirito che trionfa sempre più sicuramente”»; e qui Garin aderisce alla visione dell’attualismo come ‘teologia del futurismo’, descritta con una certa cattiveria da Croce.
Non c’è tuttavia solo questo nel Garin del nostro Istituto. Nell’ambito degli studi su umanesimo e Rinascimento, nei quali fu grande maestro, egli assicurò la sua collaborazione al Lessico Universale Italiano, cui offrì lo splendido sottolemma La cultura del Rinascimento, nella voce Rinascimento, pubblicata nel 1978 nel vol. XIX dell’opera. Garin scrisse anche quattro biografie per il Dizionario Biografico degli Italiani, e c’ha lasciato alcune lettere nel nostro Archivio. In una di esse, erano indirizzate ad Umberto Bosco, che è stato il Direttore del Lessico universale italiano e della Dantesca, si tratta non di cose relative all’Enciclopedia, ma ne viene fuori il Garin organizzatore di cultura, oltre che intellettuale del suo tempo: Garin vi racconta sobriamente, ma con profonda partecipazione morale, del contrasto che lo oppose con sofferenza al veto che il governo sollevava allora sulla nomina al Consiglio dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento di uno storico del valore di Delio Cantimori; e sottolineava il fatto che l’Istituto veniva privato della competenza di un autore come Cantimori per motivi politici.
Ulteriore documento che abbiamo di sua scrittura è la voce più importante che Garin abbia steso per il Dizionario Biografico degli Italiani: la voce dedicata ad Eugenio Colorni. Ed è di rilievo che Garin abbia dedicato a Colorni, una figura sulla quale oggi si torna, ricordando non soltanto la sua giovane vita stroncata da una mitragliata in via Livorno a Roma, il 28 maggio del 1944, ma anche il contributo di pensiero, che in quei pochi anni di vita che ebbe, il socialista Colorni aveva dato. Garin ricorda i suoi importanti studi filosofici e il rapporto con Croce e con Gentile, e conclude parlando dell’analisi lucida della situazione politica dell’Europa alla vigilia della vittoria alleata che si doveva a Colorni sull’«Avanti!», volendosi battere per un moto di autentica rivoluzione dei popoli d’Europa contro ogni possibile imposizione e strumentalizzazione da parte dei vincitori. Ecco, anche questo fa parte delle aspettative e delle visioni del secolo Novecento, che dobbiamo a Garin.
Qui si concludono il mio saluto e la mia naturale introduzione. Voglio dire, Signor Presidente, che io mi sento un neofita, e con un qual che disagio umile ho parlato di Garin alla presenza di colleghi che molto meglio di me l’avrebbero potuto fare, ma il rapporto tra Garin e la Treccani non poteva non essere affidato che al Presidente dell’Istituto.
 
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