La «ricerca
oggettiva»: il rapporto fra la politica e la cultura
per Gastone Manacorda e Delio Cantimori.
Introduzione al carteggio
di Albertina Vittoria
I
Storia di un carteggio e di un’amicizia
Con la pubblicazione di questo carteggio viene esaudita
la volontà di Gastone
Manacorda, che negli ultimi anni della sua vita –
finché le forze
glielo permisero – lavorò a questo fine.
Sulla personalità di studioso e di maestro di
Cantimori e sulla loro
amicizia, Manacorda si soffermò a lungo in fasi
diverse: con la recensione
agli Studi di storia, che apparve sul primo numero di
“Studi Storici” 1,
con il ricordo pubblicato dopo la scomparsa 2, con la
bellissima relazione
al convegno di Russi del 1978, nella quale citò
alcune sue lettere 3, infine,
nell’impegno per l’impostazione e la realizzazione
del seminario su
Cantimori organizzato da “Studi Storici”
e dalla Fondazione Istituto
Gramsci nel giugno 1992 in occasione della pubblicazione
presso Einaudi
di Eretici italiani del Cinquecento e Politica e storia
contemporanea, curati
da Adriano Prosperi (1992) e da Luisa Mangoni (1991)
4.
Negli anni successivi, per quanto sempre più
provato dalla malattia,
Manacorda ritornò a questo rapporto e riprese
in mano le lettere di Cantimori
nelle quali il loro dialogo era racchiuso e conservato.
Le riordinò,
le annotò, ci lavorò in vista di una loro
pubblicazione, aiutato da una delle
sue ultime allieve, Ilaria Mandolesi: numerose sono
le annotazioni fatte
in margine alle lettere, nonché le indicazioni
di carattere tipografico
per un futuro editore di questo materiale 5. Tutte le
lettere di Cantimori
furono poi fatte fotocopiare nell’intento di donarle
all’Archivio della
Scuola Normale Superiore di Pisa: volontà alla
quale si dà seguito assieme
a questa edizione.
Alcune lettere di Cantimori – che usava fare più
versioni di una stessa
missiva – non furono invece ricevute da Manacorda
perché non spedite:
le ho potute vedere grazie alla dott.ssa Maddalena Taglioli,
ora curatrice
dell’Archivio della Normale, che con competenza
e grande disponibilità
le ha cercate e rinvenute nella parte non inventariata
delle
carte di Cantimori (maggio 2012). Sono 11 lettere in
tutto, alcune delle
quali costituiscono una versione diversa di lettere
spedite, altre invece
sono versioni a sé stanti. Come si potrà
constatare, sono testi di grandissimo
interesse poiché completano il pensiero di Cantimori
su questioni
di notevole importanza o forniscono inediti significativi
(come il suo parere
sulla Storia della politica estera italiana di Chabod
e l’incipit della recensione
che non riuscì a scrivere) 6. A queste va aggiunta
la lettera del
10 giugno 1947 (velina dattiloscritta), con la quale
Cantimori accettava di
compiere la traduzione del Capitale, che potrebbe essere
considerata
una vera minuta e che quindi dovrebbe essere stata spedita,
anche se non
era conservata tra le carte di Manacorda.
Tra le carte di Manacorda vi sono molte tracce della
riflessione che accompagnò
il lavoro attorno alle lettere: appunti e commenti,
che a volte si
intrecciano con appunti e commenti di una ventina d’anni
prima relativi
all’elaborazione della relazione per il convegno
di Russi. In due occasioni è avviato l’incipit
di una probabile introduzione al carteggio. Il progetto
probabilmente prevedeva una ricostruzione biografica,
dal momento che
tra le carte è conservato un block notes intitolato
Quaderno di Gastone Manacorda
cominciato il 6 agosto 1997, con l’intento di
illustrare i miei pochi
(ma eccellenti) maestri. Il block notes, interrotto
dopo poche pagine, iniziava
proprio con La mia amicizia con Delio Cantimori, annunciando
il
proposito di volere narrare «come cominciò,
come si sviluppò, attraverso
quali vicende crebbe e come non finì ma morì
di morte naturale»7.
Assieme al riordino delle lettere di Cantimori, Manacorda
proseguì
nella ricerca delle proprie per ricostruire il carteggio
integralmente, ricerca
avviata già in precedenza, come è testimoniato
dalla corrispondenza
con Mario Mirri del 1990 a proposito della destinazione
avuta dalle
carte di Cantimori dopo la scomparsa di Emma Mezzomonti8.
Nel
1997 dall’Archivio della Scuola Normale Superiore
di Pisa, presso il quale
era iniziato il riordino delle Carte Cantimori, ricevette
la fotocopia di
55 delle sue lettere 9. Una parte cospicua delle sue
missive, tuttavia, non
ebbe modo di vederla, perché molte furono ritrovate
dopo la sua scomparsa,
avvenuta il 27 aprile 2001: altre 38 lettere furono
inviate in fotocopia
dalla dott.ssa Milletta Sbrilli a Marcella Manacorda
nel dicembre
2002; mentre altre 36 furono rinvenute successivamente
all’interno dei libri
di Cantimori (nuovo ritrovamento) e mi furono consegnate
personalmente
a Pisa, quando sono tornata per proseguire la mia ricerca
nel
settembre 2009, da Stefano Pieroni 10. Numerose sono
sicuramente le lettere mancanti di Manacorda, come si
può constatare e come si comprende
da riferimenti di Cantimori; così come ne manca
ancora qualcuna
di Cantimori.
A rivedere il lavoro compiuto e gli appunti presi, si
ha l’impressione
che per Manacorda il riandare con la memoria alla vita
del proprio amico
e maestro, alla loro amicizia, alle vicende che li videro
protagonisti, lo aiutasse
a ripercorrere e comprendere le scelte anche della propria
vita. In una
lettera del 21 aprile 1956, ad esempio, Cantimori, consigliando
Manacorda
in merito alla decisione da prendere in una fase in
cui si stava avviando una
riorganizzazione di “Società”, affermava:
«personalmente, soggettivamente,
individualmente, privatamente, come amico», se
si trattava di scegliere
tra l’attività di studioso e quella di
direttore della rivista, «se proprio non
ce la fai a far le due cose insieme, – fa il libro,
e lascia andare il resto»; anche
se, guardando la questione dal punto di vista oggettivo,
si rendeva conto
che la direzione «gastoniana» – come
la definiva – di “Società”
sarebbe
stata l’unica garanzia di vitalità per
la rivista stessa. A commento di questa
frase, Manacorda annotava: «è un pezzo
fondamentale sull’eterno problema
della mia scelta di vita»11, concentrarsi nello
studio e nella scrittura, oppure
impegnarsi nella politica e nell’organizzazione
culturale. Sarà questo
il filo conduttore delle lettere e della loro amicizia.
Ed era proprio il rapporto fra cultura e politica, e
più precisamente
il rapporto con il Partito comunista, che Manacorda
indagava nelle lettere
di Cantimori, come emerge dalla relazione al convegno
di Russi e
come egli affermò in maniera esplicita in quella
occasione. La relazione,
infatti, inizialmente avrebbe dovuto vertere su Delio
Cantimori e la storia
del socialismo 12, mentre solo successivamente il centro
fu spostato su
Cantimori e il Partito comunista italiano, come spiegò
egli stesso nelle
prime pagine del manoscritto letto al convegno, che
verranno cancellate
per la copia destinata agli atti:
Quando il sindaco di Russi mi ha cortesemente invitato
ad indicare quale sarebbe
stato il mio contributo a questo nostro incontro di
riflessione e di studio, la mia
scelta era obbligata. Dei molti campi nei quali Delio
Cantimori ha lavorato soltanto
in uno potevo, infatti, riconoscermi un minimo di competenza.
Scelsi quindi
la storia del socialismo. Avrei, tuttavia, scartato
questa scelta soggettivamente
obbligata se essa non avesse avuto anche ragioni obiettive,
se non avesse contemplato, cioè, un interesse
che per qualche anno occupò considerevolmente
l’operosità
di Cantimori – e per un breve periodo fu, anzi,
prevalente anche sui suoi
interessi più costanti – e si accompagnò
alla fase di più diretto impegno politico
dello studioso. Ma è stata proprio la convinzione
che fosse necessario chiarificare
il rapporto tra l’impegno politico e gli studi
di storia del socialismo a farmi modificare
il tema della relazione così come l’avevo
previsto in un primo momento.
Il mio sarà, dunque (tanto per indicare un titolo
provvisorio), un contributo
alla biografia intellettuale di DC, potrei dire politico-intellettuale,
con particolare
riguardo al suo rapporto col PCI 13.
La questione del rapporto fra attività politica
e ricerca storica riguardava
entrambi, era sentita da entrambi con la stessa passione
e gli stessi interrogativi,
anche se nel corso del tempo sarà declinata in
maniera diversa:
le loro lettere narrano questo percorso e come esso
sia maturato
di fronte agli eventi – politici, culturali, interni
e internazionali – che segnarono
gli anni Cinquanta. Le pagine che seguono saranno centrate
su
questo aspetto specifico del loro rapporto, senza avere
la pretesa di indagare
né le rispettive produzioni storiografiche, né
il complessivo dibattito
e i temi della storiografia di quegli anni.
Il loro non fu un rapporto asettico, ma di profonda
amicizia. Un’amicizia
sui generis, poiché se Manacorda ha sempre riconosciuto
in Cantimori
un maestro, la persona che ebbe su di lui «la
maggiore influenza
[...] come studioso» 14, tuttavia non ne era allievo
accademico: questo,
come si vede dalle lettere, fece sì che il loro
fosse un rapporto – anche
se, certo, non totalmente – alla pari. Dal canto
suo, Cantimori, legato a
Manacorda per la comune convinzione che la cultura non
doveva essere
sottomessa a fini politici, aveva una stima profonda
per lui sia dal punto
di vista umano, sia come studioso. In una delle lettere
non spedite, ad
esempio, nel 1947 Cantimori, paragonando i propri trent’anni
ai suoi, gli
scriveva che, rispetto a sé, «tu hai scavato
in profondo, hai fatto il viaggio
al centro della terra: tu non sai forse quante energie
puoi sviluppare,
se viene il momento che tu ti possa dedicare un po’
più agli studi»: «vorrei
che tutti avessimo fatto alla tua età quello
che tu hai fatto e stai facendo. Conta anche la maturità
del giudizio e la sicurezza dell’orientamento
e la precisione dell’espressione» 15.
Secondo quanto scrisse Cantimori nel 1959, in una bozza
di lettera di
presentazione del figlio minore di Manacorda, Benedetto,
per una borsa
di studio dell’American Field Service, la loro
amicizia iniziò nell’«inverno
1939-40», quando egli conobbe suo fratello Paolo
Emilio nella redazione
dell’Enciclopedia italiana, della quale erano
entrambi collaboratori16.
Il fratello minore di Manacorda, italianista, era entrato
in contatto
nella Facoltà romana di Lettere con Mario Alicata,
Carlo Muscetta, Carlo
Salinari e altri giovani che avrebbero avviato la propria
attività antifascista
alla fine degli anni Trenta, alcuni dei quali sarebbero
divenuti comunisti:
sarà proprio lui a fare da tramite tra Gastone
Manacorda, che
si era laureato in Legge, e questo gruppo, attraverso
il quale ebbe inizio
il suo impegno politico 17. Vita segnata da un tragico
destino, poiché, inviato
al fronte in Jugoslavia, Paolo Emilio morì il
25 febbraio 1942, ucciso
da quei partigiani nelle cui file stava cercando di
passare 18.
L’amicizia con Paolo Emilio, «purtroppo
rimasta “prima”, senza seguito
», veniva ricordata da Cantimori con rimpianto
nella corrispondenza
con Manacorda19 e in questa lettera di presentazione
per Benedetto,
dove parlava dell’incontro sia con Gastone che
con l’altro fratello,
Mario Alighiero, e del rapporto con «una famiglia
della quale avevo
sentito parlare per le sue tradizioni patriottiche (un
nonno garibaldino)
e scientifiche (il Prof. Giuseppe Manacorda, studioso
di storia e letteratura
dei più valenti, famoso per le sue iniziate ricerche
di storia della
scuola, delle quali avevo preso conoscenza quando studiavo
all’università)
», scomparso prematuramente per l’epidemia
di febbre spagnola il
4 gennaio 1920 20. Manacorda ha invece collocato l’incontro
con Cantimori alla fine del 1942 (sbagliando in realtà
di un anno, poiché l’incontro avvenne alla
fine
del 1941) 21, quando egli – allora docente all’Istituto
magistrale di Perugia
– lo andò a trovare a Roma per parlargli
della Cospirazione per l’uguaglianza
di Filippo Buonarroti, la cui traduzione voleva proporre
all’editore
Einaudi, idea che Cantimori trovò «ottima»
22. Da allora nacque
un’amicizia che si rafforzò per il comune
antifascismo, i comuni interessi
storiografici, in particolare per «l’interesse
verso la storia del socialismo,
verso il marxismo, verso la rivoluzione russa: che era
un’esigenza
politica – ha ricordato Manacorda –, ma
che volevamo trattare come materia
di studio» 23. Sarebbe poi proseguita dopo la
Liberazione, nella collaborazione
alla casa editrice Einaudi, nell’impegno nell’Associazione
per la difesa della scuola nazionale, nelle riviste
e nelle istituzioni che facevano
capo al PCI.
Le lettere tra i due studiosi rivelano un’amicizia
che andava al di là degli
impegni condivisi e degli interessi scientifici, ed
offrono frequenti spaccati
di vita quotidiana e di familiarità: l’ospitalità
nelle rispettive case di Roma
e di Firenze, la reciproca simpatia tra le mogli, Marcella
Balboni ed Emma
Mezzomonti, le attenzioni di Cantimori per i figli di
Manacorda, Giorgio
e Benedetto, lo scambio di pensieri e di libri, lo schermirsi
di Manacorda
per le formalità del «vecchio zio»,
prodigo di doni, «fiori ed omaggi
cavallereschi»24. «Ma come esprimere la
gratitudine per come sono stato
bene, anche psicologicamente e intellettualmente, da
voi – scriveva Cantimori in occasione di un’ospitalità
romana nel 1955 –, e per le cose, anche
non dette, che ho imparato stando con voi? Sono io che
devo ringraziarvi
della confortante amicizia che ho sentito e percepito
a casa vostra!»25.
E ancora, tra una discussione su questioni politiche
o storiografiche
e l’altra, le informazioni sulla salute e i malesseri
fisici e psicologici, con
suggerimenti e consigli su farmaci e cure. L’annuncio,
infine, di notizie
gioiose della famiglia: «stamane è nata
una nipotina bella, vispa e robusta,
con grande gioia dei giovani genitori nonché
dei men giovani nonni
», comunicava felice Gastone Manacorda il 21 giugno
1966 la nascita
della primogenita di Giorgio, Simona, in quella che
fu la penultima lettera
della loro corrispondenza.
Assieme a loro, Emma e Marcella, presenze forti e coraggiose
a fianco
dei rispettivi compagni.
Emma Mittempergher, nata a Bolzano nel 1903 –
«di razza degasperiana
(è un complimento, in un certo senso, e dico
sul serio)», come la
definiva scherzosamente Cantimori26 –, il cui
cognome venne italianizzato
in Mezzomonti, traduttrice del Manifesto del Partito
Comunista, di
diverse opere di Marx e di Engels e di Aby Warburg,
dopo esser stata redattrice
delle Edizioni Rinascita e aver insegnato tedesco nelle
superiori,
nel 1950 fu incaricata di lingua tedesca presso la Facoltà
di Scienze economiche
dell’Università di Firenze27. Di lei, militante
comunista e collaboratrice
del “Soccorso rosso”, si è sempre
parlato per il ruolo importante
avuto nella maturazione del pensiero politico del futuro
marito, anzi
per l’esser stata determinante nel suo passaggio
dal fascismo all’antifascismo
e al comunismo28: una annotazione di Cantimori, di commento
a
una gita a Caprarola con Emma del 1935, citata da Adriano
Prosperi, accenna al «mescolar cose umane con
la vita pubblica, politica»29, come caratteristica
della personalità della futura moglie, che confermerebbe
l’impossibilità
di un legame laddove le idee politiche dell’uno
e dell’altra fossero
rimaste distanti. Roberto Pertici, invece, sulla base
della documentazione
fornita da Silvana Seidel Menchi, sposta i tempi dell’antifascismo
di Cantimori, ritenendo che Cantimori ed Emma Mezzomonti
quando si
sposarono nel 1936 erano ancora su posizioni differenti,
il che, peraltro,
rafforzerebbe il ruolo della moglie nella maturazione
delle scelte politiche
del marito30. In una lettera del 1961 alla sua allieva
Silvana Menchi,
infatti, Cantimori, con «trasparente riferimento»
al proprio matrimonio,
aveva scritto: «Conosco una A comunista che tanti
mai anni fa sposò un
non comunista B, antico fascista (non squadrista o altro),
sinistrorsa
umanitaria, piena di riserve antistaliniane ecc.; quando
(si era in periodo
“cospirativo”) A domandò consiglio
a Emilio Sereni, questi rispose: purché
non ti impedisca la tua attività, sapendo i rischi
che comporta» 31.
Questo farebbe quindi pensare che almeno fino al 1935
– periodo cui si
riferisce l’accenno autobiografico – Cantimori
non condividesse la posizione
politica e ideale della futura moglie, tanto da dovere
quest’ultima
chiedere l’avallo per il proprio matrimonio a
un dirigente del PCI. Come
si vedrà, dalle lettere a Manacorda e a Mario
Mirri, si direbbe che la sua
crisi e la fine delle «illusioni» sul «carattere
rivoluzionario e rinnovatore
» del fascismo fosse iniziata addirittura prima,
fra il 1933 e il 1934, in rapporto
quindi all’avvento del nazismo in Germania: «fu
anche il nazionalsocialismo
ad aprirmi gli occhi», come scriveva a Mirri32.
Non molto di più, però, è dato
sapere di questa forte personalità, che,
incaricata dal Partito comunista di stabilire «un
contatto» con il giovane
professore Cantimori33 – conosciuto a Roma all’Istituto
di studi germanici, dove egli fu assistente fra il 1934
e il 1936 –, riuscì ad avere un’importante
influenza su di lui, inserendosi nel processo di distacco
da quella che
era allora la sua convinzione: vale a dire che «il
fascismo aveva fatto e stava
facendo la vera rivoluzione italiana, che doveva diventare
rivoluzione
europea» e che «la strada giusta fosse per
l’Italia quella dei fascisti»34; contribuendo
quindi al suo avvicinamento al PCI, al quale egli si
sarebbe iscritto
nel 1948. E che, di lì in avanti, avrebbe mantenuto
con il marito un rapporto
anche di collaborazione scientifica quasi simbiotico,
così come l’ha
ricordato Manacorda a proposito della traduzione del
Manifesto:
L’edizione e il commento sono di Emma Cantimori
Mezzomonti, le cui qualità
di studiosa molti di noi hanno conosciuto e apprezzato,
e chi vi parla in particolare per averla avuta collaboratrice
preziosa nella redazione delle «Edizioni
Rinascita» fra il 1946 e il 1950. D’altra
parte, sappiamo quale fosse la collaborazione
costante di Emma al lavoro di Delio [...] La traduzione
e il commento del
Manifesto sono usciti – dirò con un’immagine
alla quale Cantimori ricorreva frequentemente
parlando del suo lavoro – da quel laboratorio
artigiano che era il
suo studio, la sua casa, la sua straordinaria biblioteca,
e che non si possono immaginare
senza la presenza attiva della sua compagna di vita
e di lavoro 35.
E come riconosceva lo stesso Cantimori, quando, nel
comunicare a Manacorda
di aver finito la traduzione del Capitale, oltre a ringraziare
l’amico
di averlo spinto in questo lavoro dandogli «il
coraggio e la fiducia in
me necessaria», sottolineava: «Senza l’Emma,
non avrei continuato»36. E
Manacorda a sua volta: «oltre che con te, mi congratulo
con Emma, i cui
meriti sono anche in questo caso di gran lunga superiori
ai miei» 37.
Di Emma Mezzomonti, scomparsa il 18 marzo 1969, si sente
la presenza
nei riferimenti di Cantimori, si avverte l’ammirazione
di Manacorda
che la voleva tra i collaboratori di “Società”
e che l’apprezzava per
la sua opera di traduttrice. Se ne intravede la figura
dietro le quinte, da
dove seguiva i rapporti del marito, pronta anche a scrivere
– magari in
maniera riservata – all’amico Manacorda,
per fugare dubbi su possibili
incomprensioni.
Così come si sentono nelle lettere la presenza
affettuosa e costante
di Marcella Balboni e, assieme a lei, gli echi della
vita familiare e delle
amicizie, le difficoltà economiche e lavorative.
Nata a Roma nel 1919,
sposatasi giovanissima nel 1940 e presto madre dei due
figli nati a poco
più di un anno di distanza, Giorgio e Benedetto,
seguì il marito nelle destinazioni
dove lo condussero prima l’insegnamento, a Perugia,
poi la
guerra, a Treviso, tornando dopo l’8 settembre
a Roma, dove Manacorda
partecipò all’attività clandestina
della Resistenza. Marcella Balboni
aveva studiato chimica all’Università ma
nei tempi assai duri della guerra
e dell’occupazione tedesca non le fu possibile
continuare gli studi, che
terminò solo dopo la Liberazione, abbandonando
poi la professione per
dedicarsi al lavoro editoriale presso le Edizioni di
cultura sociale e poi
gli Editori Riuniti.
Marcella è scomparsa il 25 giugno 2006 e non
posso qui non ricordarla
con un sentimento di profonda nostalgia e di immensa
gratitudine.
A lei si deve questo lavoro, così come alla disponibilità
del figlio
Giorgio, che da solo ha dovuto assumere l’onere
dell’eredità intellettuale
paterna, essendo Benedetto tragicamente scomparso nel
luglio 1999. Dopo la morte di Gastone Manacorda, quel
legame che avevo stabilito
con lui – da allieva “adottata”, se
posso dir così, da quando iniziai
a studiare gli organismi culturali, “Studi Storici”
e l’Istituto Gramsci,
nei quali egli fu protagonista di primo piano –
è proseguito trasferendosi
nell’amicizia che da quel momento nacque con Marcella:
lei ebbe
il grande coraggio – lo dico senza retorica –
di aprire la porta dello
studio di Gastone, di indicarmi gli scaffali dove erano
le sue carte, di
farmi mettere alla sua scrivania – cosa che feci
non senza emozione, e
posso immaginare la sua nel vedere nuovamente una figura
in quella
stanza – e di farmele esaminare e studiare. Da
qui è nato il progetto del
fascicolo monografico che “Studi Storici”,
la rivista da lui fondata e diretta,
ha voluto dedicargli nel 2003, sostenuto dalla direzione
della rivista
e dal direttore Francesco Barbagallo e realizzato con
la collaborazione
di Claudio Natoli e Leonardo Rapone. Da qui la richiesta
che ella
mi fece di occuparmi del carteggio con Cantimori per
il saggio apparso
su “Studi Storici” e poi per l’edizione
integrale che ora, dopo diversi
anni, vede la luce. Dopo la scomparsa di Marcella, Giorgio
Manacorda
ha ritenuto che il luogo migliore dove conservare le
carte del padre
– delle quali avevo fatto un primo riordino –
fosse l’archivio della
Fondazione Istituto Gramsci38, dove egli fino all’ultimo
aveva riversato
il proprio impegno, anche con l’attiva partecipazione
a “Studi Storici”,
dal 1983 diretta da Francesco Barbagallo, cambio di
direzione da lui
stesso favorito 39. La ricca e bella biblioteca è
stata invece donata all’Istituto
storico germanico di Roma.
Questa introduzione rappresenta un’ulteriore elaborazione
del saggio
di “Studi Storici”, con sostanziali integrazioni
e modifiche derivate
dalla disponibilità delle nuove lettere di Manacorda,
delle lettere non spedite
di Cantimori e di altre fonti, e da ulteriori ricerche
nell’Archivio Cantimori
alla Normale di Pisa (in particolare la corrispondenza
di Mario
Mirri, completa delle lettere di Cantimori che egli
ha donato all’Archivio,
e che corre parallela a quella con Manacorda), che hanno
permesso la
comprensione di passaggi prima oscuri, una più
precisa connessione tra
diversi eventi e chiarimenti nella datazione di alcune
lettere 40. [...] |