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ANNALE XVIII
Delio Cantimori, Gastone Manacorda
Amici per la storia. Lettere 1942-1966
a cura di Albertina Vittoria
Roma, Carocci, 2013

pp. 526, 2 € 49,00
ISBN 978-88-430-6914-9

La «ricerca oggettiva»: il rapporto fra la politica e la cultura
per Gastone Manacorda e Delio Cantimori.
Introduzione al carteggio
di Albertina Vittoria

I Storia di un carteggio e di un’amicizia
Con la pubblicazione di questo carteggio viene esaudita la volontà di Gastone
Manacorda, che negli ultimi anni della sua vita – finché le forze
glielo permisero – lavorò a questo fine.
Sulla personalità di studioso e di maestro di Cantimori e sulla loro
amicizia, Manacorda si soffermò a lungo in fasi diverse: con la recensione
agli Studi di storia, che apparve sul primo numero di “Studi Storici” 1,
con il ricordo pubblicato dopo la scomparsa 2, con la bellissima relazione
al convegno di Russi del 1978, nella quale citò alcune sue lettere 3, infine,
nell’impegno per l’impostazione e la realizzazione del seminario su
Cantimori organizzato da “Studi Storici” e dalla Fondazione Istituto
Gramsci nel giugno 1992 in occasione della pubblicazione presso Einaudi
di Eretici italiani del Cinquecento e Politica e storia contemporanea, curati
da Adriano Prosperi (1992) e da Luisa Mangoni (1991) 4.
Negli anni successivi, per quanto sempre più provato dalla malattia,
Manacorda ritornò a questo rapporto e riprese in mano le lettere di Cantimori
nelle quali il loro dialogo era racchiuso e conservato. Le riordinò,
le annotò, ci lavorò in vista di una loro pubblicazione, aiutato da una delle
sue ultime allieve, Ilaria Mandolesi: numerose sono le annotazioni fatte
in margine alle lettere, nonché le indicazioni di carattere tipografico
per un futuro editore di questo materiale 5. Tutte le lettere di Cantimori
furono poi fatte fotocopiare nell’intento di donarle all’Archivio della
Scuola Normale Superiore di Pisa: volontà alla quale si dà seguito assieme
a questa edizione.
Alcune lettere di Cantimori – che usava fare più versioni di una stessa
missiva – non furono invece ricevute da Manacorda perché non spedite:
le ho potute vedere grazie alla dott.ssa Maddalena Taglioli, ora curatrice
dell’Archivio della Normale, che con competenza e grande disponibilità
le ha cercate e rinvenute nella parte non inventariata delle
carte di Cantimori (maggio 2012). Sono 11 lettere in tutto, alcune delle
quali costituiscono una versione diversa di lettere spedite, altre invece
sono versioni a sé stanti. Come si potrà constatare, sono testi di grandissimo
interesse poiché completano il pensiero di Cantimori su questioni
di notevole importanza o forniscono inediti significativi (come il suo parere
sulla Storia della politica estera italiana di Chabod e l’incipit della recensione
che non riuscì a scrivere) 6. A queste va aggiunta la lettera del
10 giugno 1947 (velina dattiloscritta), con la quale Cantimori accettava di
compiere la traduzione del Capitale, che potrebbe essere considerata
una vera minuta e che quindi dovrebbe essere stata spedita, anche se non
era conservata tra le carte di Manacorda.
Tra le carte di Manacorda vi sono molte tracce della riflessione che accompagnò
il lavoro attorno alle lettere: appunti e commenti, che a volte si
intrecciano con appunti e commenti di una ventina d’anni prima relativi
all’elaborazione della relazione per il convegno di Russi. In due occasioni è avviato l’incipit di una probabile introduzione al carteggio. Il progetto
probabilmente prevedeva una ricostruzione biografica, dal momento che
tra le carte è conservato un block notes intitolato Quaderno di Gastone Manacorda
cominciato il 6 agosto 1997, con l’intento di illustrare i miei pochi
(ma eccellenti) maestri. Il block notes, interrotto dopo poche pagine, iniziava
proprio con La mia amicizia con Delio Cantimori, annunciando il
proposito di volere narrare «come cominciò, come si sviluppò, attraverso
quali vicende crebbe e come non finì ma morì di morte naturale»7.
Assieme al riordino delle lettere di Cantimori, Manacorda proseguì
nella ricerca delle proprie per ricostruire il carteggio integralmente, ricerca
avviata già in precedenza, come è testimoniato dalla corrispondenza
con Mario Mirri del 1990 a proposito della destinazione avuta dalle
carte di Cantimori dopo la scomparsa di Emma Mezzomonti8. Nel
1997 dall’Archivio della Scuola Normale Superiore di Pisa, presso il quale
era iniziato il riordino delle Carte Cantimori, ricevette la fotocopia di
55 delle sue lettere 9. Una parte cospicua delle sue missive, tuttavia, non
ebbe modo di vederla, perché molte furono ritrovate dopo la sua scomparsa,
avvenuta il 27 aprile 2001: altre 38 lettere furono inviate in fotocopia
dalla dott.ssa Milletta Sbrilli a Marcella Manacorda nel dicembre
2002; mentre altre 36 furono rinvenute successivamente all’interno dei libri
di Cantimori (nuovo ritrovamento) e mi furono consegnate personalmente
a Pisa, quando sono tornata per proseguire la mia ricerca nel
settembre 2009, da Stefano Pieroni 10. Numerose sono sicuramente le lettere mancanti di Manacorda, come si può constatare e come si comprende
da riferimenti di Cantimori; così come ne manca ancora qualcuna
di Cantimori.
A rivedere il lavoro compiuto e gli appunti presi, si ha l’impressione
che per Manacorda il riandare con la memoria alla vita del proprio amico
e maestro, alla loro amicizia, alle vicende che li videro protagonisti, lo aiutasse
a ripercorrere e comprendere le scelte anche della propria vita. In una
lettera del 21 aprile 1956, ad esempio, Cantimori, consigliando Manacorda
in merito alla decisione da prendere in una fase in cui si stava avviando una
riorganizzazione di “Società”, affermava: «personalmente, soggettivamente,
individualmente, privatamente, come amico», se si trattava di scegliere
tra l’attività di studioso e quella di direttore della rivista, «se proprio non
ce la fai a far le due cose insieme, – fa il libro, e lascia andare il resto»; anche
se, guardando la questione dal punto di vista oggettivo, si rendeva conto
che la direzione «gastoniana» – come la definiva – di “Società” sarebbe
stata l’unica garanzia di vitalità per la rivista stessa. A commento di questa
frase, Manacorda annotava: «è un pezzo fondamentale sull’eterno problema
della mia scelta di vita»11, concentrarsi nello studio e nella scrittura, oppure
impegnarsi nella politica e nell’organizzazione culturale. Sarà questo
il filo conduttore delle lettere e della loro amicizia.
Ed era proprio il rapporto fra cultura e politica, e più precisamente
il rapporto con il Partito comunista, che Manacorda indagava nelle lettere
di Cantimori, come emerge dalla relazione al convegno di Russi e
come egli affermò in maniera esplicita in quella occasione. La relazione,
infatti, inizialmente avrebbe dovuto vertere su Delio Cantimori e la storia
del socialismo 12, mentre solo successivamente il centro fu spostato su
Cantimori e il Partito comunista italiano, come spiegò egli stesso nelle
prime pagine del manoscritto letto al convegno, che verranno cancellate
per la copia destinata agli atti:
Quando il sindaco di Russi mi ha cortesemente invitato ad indicare quale sarebbe
stato il mio contributo a questo nostro incontro di riflessione e di studio, la mia
scelta era obbligata. Dei molti campi nei quali Delio Cantimori ha lavorato soltanto
in uno potevo, infatti, riconoscermi un minimo di competenza. Scelsi quindi
la storia del socialismo. Avrei, tuttavia, scartato questa scelta soggettivamente
obbligata se essa non avesse avuto anche ragioni obiettive, se non avesse contemplato, cioè, un interesse che per qualche anno occupò considerevolmente l’operosità
di Cantimori – e per un breve periodo fu, anzi, prevalente anche sui suoi
interessi più costanti – e si accompagnò alla fase di più diretto impegno politico
dello studioso. Ma è stata proprio la convinzione che fosse necessario chiarificare
il rapporto tra l’impegno politico e gli studi di storia del socialismo a farmi modificare
il tema della relazione così come l’avevo previsto in un primo momento.
Il mio sarà, dunque (tanto per indicare un titolo provvisorio), un contributo
alla biografia intellettuale di DC, potrei dire politico-intellettuale, con particolare
riguardo al suo rapporto col PCI 13.
La questione del rapporto fra attività politica e ricerca storica riguardava
entrambi, era sentita da entrambi con la stessa passione e gli stessi interrogativi,
anche se nel corso del tempo sarà declinata in maniera diversa:
le loro lettere narrano questo percorso e come esso sia maturato
di fronte agli eventi – politici, culturali, interni e internazionali – che segnarono
gli anni Cinquanta. Le pagine che seguono saranno centrate su
questo aspetto specifico del loro rapporto, senza avere la pretesa di indagare
né le rispettive produzioni storiografiche, né il complessivo dibattito
e i temi della storiografia di quegli anni.
Il loro non fu un rapporto asettico, ma di profonda amicizia. Un’amicizia
sui generis, poiché se Manacorda ha sempre riconosciuto in Cantimori
un maestro, la persona che ebbe su di lui «la maggiore influenza
[...] come studioso» 14, tuttavia non ne era allievo accademico: questo,
come si vede dalle lettere, fece sì che il loro fosse un rapporto – anche
se, certo, non totalmente – alla pari. Dal canto suo, Cantimori, legato a
Manacorda per la comune convinzione che la cultura non doveva essere
sottomessa a fini politici, aveva una stima profonda per lui sia dal punto
di vista umano, sia come studioso. In una delle lettere non spedite, ad
esempio, nel 1947 Cantimori, paragonando i propri trent’anni ai suoi, gli
scriveva che, rispetto a sé, «tu hai scavato in profondo, hai fatto il viaggio
al centro della terra: tu non sai forse quante energie puoi sviluppare,
se viene il momento che tu ti possa dedicare un po’ più agli studi»: «vorrei
che tutti avessimo fatto alla tua età quello che tu hai fatto e stai facendo. Conta anche la maturità del giudizio e la sicurezza dell’orientamento
e la precisione dell’espressione» 15.
Secondo quanto scrisse Cantimori nel 1959, in una bozza di lettera di
presentazione del figlio minore di Manacorda, Benedetto, per una borsa
di studio dell’American Field Service, la loro amicizia iniziò nell’«inverno
1939-40», quando egli conobbe suo fratello Paolo Emilio nella redazione
dell’Enciclopedia italiana, della quale erano entrambi collaboratori16.
Il fratello minore di Manacorda, italianista, era entrato in contatto
nella Facoltà romana di Lettere con Mario Alicata, Carlo Muscetta, Carlo
Salinari e altri giovani che avrebbero avviato la propria attività antifascista
alla fine degli anni Trenta, alcuni dei quali sarebbero divenuti comunisti:
sarà proprio lui a fare da tramite tra Gastone Manacorda, che
si era laureato in Legge, e questo gruppo, attraverso il quale ebbe inizio
il suo impegno politico 17. Vita segnata da un tragico destino, poiché, inviato
al fronte in Jugoslavia, Paolo Emilio morì il 25 febbraio 1942, ucciso
da quei partigiani nelle cui file stava cercando di passare 18.
L’amicizia con Paolo Emilio, «purtroppo rimasta “prima”, senza seguito
», veniva ricordata da Cantimori con rimpianto nella corrispondenza
con Manacorda19 e in questa lettera di presentazione per Benedetto,
dove parlava dell’incontro sia con Gastone che con l’altro fratello,
Mario Alighiero, e del rapporto con «una famiglia della quale avevo
sentito parlare per le sue tradizioni patriottiche (un nonno garibaldino)
e scientifiche (il Prof. Giuseppe Manacorda, studioso di storia e letteratura
dei più valenti, famoso per le sue iniziate ricerche di storia della
scuola, delle quali avevo preso conoscenza quando studiavo all’università)
», scomparso prematuramente per l’epidemia di febbre spagnola il
4 gennaio 1920 20. Manacorda ha invece collocato l’incontro con Cantimori alla fine del 1942 (sbagliando in realtà di un anno, poiché l’incontro avvenne alla fine
del 1941) 21, quando egli – allora docente all’Istituto magistrale di Perugia
– lo andò a trovare a Roma per parlargli della Cospirazione per l’uguaglianza
di Filippo Buonarroti, la cui traduzione voleva proporre all’editore
Einaudi, idea che Cantimori trovò «ottima» 22. Da allora nacque
un’amicizia che si rafforzò per il comune antifascismo, i comuni interessi
storiografici, in particolare per «l’interesse verso la storia del socialismo,
verso il marxismo, verso la rivoluzione russa: che era un’esigenza
politica – ha ricordato Manacorda –, ma che volevamo trattare come materia
di studio» 23. Sarebbe poi proseguita dopo la Liberazione, nella collaborazione
alla casa editrice Einaudi, nell’impegno nell’Associazione
per la difesa della scuola nazionale, nelle riviste e nelle istituzioni che facevano
capo al PCI.
Le lettere tra i due studiosi rivelano un’amicizia che andava al di là degli
impegni condivisi e degli interessi scientifici, ed offrono frequenti spaccati
di vita quotidiana e di familiarità: l’ospitalità nelle rispettive case di Roma
e di Firenze, la reciproca simpatia tra le mogli, Marcella Balboni ed Emma
Mezzomonti, le attenzioni di Cantimori per i figli di Manacorda, Giorgio
e Benedetto, lo scambio di pensieri e di libri, lo schermirsi di Manacorda
per le formalità del «vecchio zio», prodigo di doni, «fiori ed omaggi
cavallereschi»24. «Ma come esprimere la gratitudine per come sono stato
bene, anche psicologicamente e intellettualmente, da voi – scriveva Cantimori in occasione di un’ospitalità romana nel 1955 –, e per le cose, anche
non dette, che ho imparato stando con voi? Sono io che devo ringraziarvi
della confortante amicizia che ho sentito e percepito a casa vostra!»25.
E ancora, tra una discussione su questioni politiche o storiografiche
e l’altra, le informazioni sulla salute e i malesseri fisici e psicologici, con
suggerimenti e consigli su farmaci e cure. L’annuncio, infine, di notizie
gioiose della famiglia: «stamane è nata una nipotina bella, vispa e robusta,
con grande gioia dei giovani genitori nonché dei men giovani nonni
», comunicava felice Gastone Manacorda il 21 giugno 1966 la nascita
della primogenita di Giorgio, Simona, in quella che fu la penultima lettera
della loro corrispondenza.
Assieme a loro, Emma e Marcella, presenze forti e coraggiose a fianco
dei rispettivi compagni.
Emma Mittempergher, nata a Bolzano nel 1903 – «di razza degasperiana
(è un complimento, in un certo senso, e dico sul serio)», come la
definiva scherzosamente Cantimori26 –, il cui cognome venne italianizzato
in Mezzomonti, traduttrice del Manifesto del Partito Comunista, di
diverse opere di Marx e di Engels e di Aby Warburg, dopo esser stata redattrice
delle Edizioni Rinascita e aver insegnato tedesco nelle superiori,
nel 1950 fu incaricata di lingua tedesca presso la Facoltà di Scienze economiche
dell’Università di Firenze27. Di lei, militante comunista e collaboratrice
del “Soccorso rosso”, si è sempre parlato per il ruolo importante
avuto nella maturazione del pensiero politico del futuro marito, anzi
per l’esser stata determinante nel suo passaggio dal fascismo all’antifascismo
e al comunismo28: una annotazione di Cantimori, di commento a
una gita a Caprarola con Emma del 1935, citata da Adriano Prosperi, accenna al «mescolar cose umane con la vita pubblica, politica»29, come caratteristica
della personalità della futura moglie, che confermerebbe l’impossibilità
di un legame laddove le idee politiche dell’uno e dell’altra fossero
rimaste distanti. Roberto Pertici, invece, sulla base della documentazione
fornita da Silvana Seidel Menchi, sposta i tempi dell’antifascismo
di Cantimori, ritenendo che Cantimori ed Emma Mezzomonti quando si
sposarono nel 1936 erano ancora su posizioni differenti, il che, peraltro,
rafforzerebbe il ruolo della moglie nella maturazione delle scelte politiche
del marito30. In una lettera del 1961 alla sua allieva Silvana Menchi,
infatti, Cantimori, con «trasparente riferimento» al proprio matrimonio,
aveva scritto: «Conosco una A comunista che tanti mai anni fa sposò un
non comunista B, antico fascista (non squadrista o altro), sinistrorsa
umanitaria, piena di riserve antistaliniane ecc.; quando (si era in periodo
“cospirativo”) A domandò consiglio a Emilio Sereni, questi rispose: purché
non ti impedisca la tua attività, sapendo i rischi che comporta» 31.
Questo farebbe quindi pensare che almeno fino al 1935 – periodo cui si
riferisce l’accenno autobiografico – Cantimori non condividesse la posizione
politica e ideale della futura moglie, tanto da dovere quest’ultima
chiedere l’avallo per il proprio matrimonio a un dirigente del PCI. Come
si vedrà, dalle lettere a Manacorda e a Mario Mirri, si direbbe che la sua
crisi e la fine delle «illusioni» sul «carattere rivoluzionario e rinnovatore
» del fascismo fosse iniziata addirittura prima, fra il 1933 e il 1934, in rapporto
quindi all’avvento del nazismo in Germania: «fu anche il nazionalsocialismo
ad aprirmi gli occhi», come scriveva a Mirri32.
Non molto di più, però, è dato sapere di questa forte personalità, che,
incaricata dal Partito comunista di stabilire «un contatto» con il giovane
professore Cantimori33 – conosciuto a Roma all’Istituto di studi germanici, dove egli fu assistente fra il 1934 e il 1936 –, riuscì ad avere un’importante
influenza su di lui, inserendosi nel processo di distacco da quella che
era allora la sua convinzione: vale a dire che «il fascismo aveva fatto e stava
facendo la vera rivoluzione italiana, che doveva diventare rivoluzione
europea» e che «la strada giusta fosse per l’Italia quella dei fascisti»34; contribuendo quindi al suo avvicinamento al PCI, al quale egli si sarebbe iscritto
nel 1948. E che, di lì in avanti, avrebbe mantenuto con il marito un rapporto
anche di collaborazione scientifica quasi simbiotico, così come l’ha
ricordato Manacorda a proposito della traduzione del Manifesto:
L’edizione e il commento sono di Emma Cantimori Mezzomonti, le cui qualità
di studiosa molti di noi hanno conosciuto e apprezzato, e chi vi parla in particolare per averla avuta collaboratrice preziosa nella redazione delle «Edizioni
Rinascita» fra il 1946 e il 1950. D’altra parte, sappiamo quale fosse la collaborazione
costante di Emma al lavoro di Delio [...] La traduzione e il commento del
Manifesto sono usciti – dirò con un’immagine alla quale Cantimori ricorreva frequentemente
parlando del suo lavoro – da quel laboratorio artigiano che era il
suo studio, la sua casa, la sua straordinaria biblioteca, e che non si possono immaginare
senza la presenza attiva della sua compagna di vita e di lavoro 35.
E come riconosceva lo stesso Cantimori, quando, nel comunicare a Manacorda
di aver finito la traduzione del Capitale, oltre a ringraziare l’amico
di averlo spinto in questo lavoro dandogli «il coraggio e la fiducia in
me necessaria», sottolineava: «Senza l’Emma, non avrei continuato»36. E
Manacorda a sua volta: «oltre che con te, mi congratulo con Emma, i cui
meriti sono anche in questo caso di gran lunga superiori ai miei» 37.
Di Emma Mezzomonti, scomparsa il 18 marzo 1969, si sente la presenza
nei riferimenti di Cantimori, si avverte l’ammirazione di Manacorda
che la voleva tra i collaboratori di “Società” e che l’apprezzava per
la sua opera di traduttrice. Se ne intravede la figura dietro le quinte, da
dove seguiva i rapporti del marito, pronta anche a scrivere – magari in
maniera riservata – all’amico Manacorda, per fugare dubbi su possibili
incomprensioni.
Così come si sentono nelle lettere la presenza affettuosa e costante
di Marcella Balboni e, assieme a lei, gli echi della vita familiare e delle
amicizie, le difficoltà economiche e lavorative. Nata a Roma nel 1919,
sposatasi giovanissima nel 1940 e presto madre dei due figli nati a poco
più di un anno di distanza, Giorgio e Benedetto, seguì il marito nelle destinazioni
dove lo condussero prima l’insegnamento, a Perugia, poi la
guerra, a Treviso, tornando dopo l’8 settembre a Roma, dove Manacorda
partecipò all’attività clandestina della Resistenza. Marcella Balboni
aveva studiato chimica all’Università ma nei tempi assai duri della guerra
e dell’occupazione tedesca non le fu possibile continuare gli studi, che
terminò solo dopo la Liberazione, abbandonando poi la professione per
dedicarsi al lavoro editoriale presso le Edizioni di cultura sociale e poi
gli Editori Riuniti.
Marcella è scomparsa il 25 giugno 2006 e non posso qui non ricordarla
con un sentimento di profonda nostalgia e di immensa gratitudine.
A lei si deve questo lavoro, così come alla disponibilità del figlio
Giorgio, che da solo ha dovuto assumere l’onere dell’eredità intellettuale
paterna, essendo Benedetto tragicamente scomparso nel luglio 1999. Dopo la morte di Gastone Manacorda, quel legame che avevo stabilito
con lui – da allieva “adottata”, se posso dir così, da quando iniziai
a studiare gli organismi culturali, “Studi Storici” e l’Istituto Gramsci,
nei quali egli fu protagonista di primo piano – è proseguito trasferendosi
nell’amicizia che da quel momento nacque con Marcella: lei ebbe
il grande coraggio – lo dico senza retorica – di aprire la porta dello
studio di Gastone, di indicarmi gli scaffali dove erano le sue carte, di
farmi mettere alla sua scrivania – cosa che feci non senza emozione, e
posso immaginare la sua nel vedere nuovamente una figura in quella
stanza – e di farmele esaminare e studiare. Da qui è nato il progetto del
fascicolo monografico che “Studi Storici”, la rivista da lui fondata e diretta,
ha voluto dedicargli nel 2003, sostenuto dalla direzione della rivista
e dal direttore Francesco Barbagallo e realizzato con la collaborazione
di Claudio Natoli e Leonardo Rapone. Da qui la richiesta che ella
mi fece di occuparmi del carteggio con Cantimori per il saggio apparso
su “Studi Storici” e poi per l’edizione integrale che ora, dopo diversi
anni, vede la luce. Dopo la scomparsa di Marcella, Giorgio Manacorda
ha ritenuto che il luogo migliore dove conservare le carte del padre
– delle quali avevo fatto un primo riordino – fosse l’archivio della
Fondazione Istituto Gramsci38, dove egli fino all’ultimo aveva riversato
il proprio impegno, anche con l’attiva partecipazione a “Studi Storici”,
dal 1983 diretta da Francesco Barbagallo, cambio di direzione da lui
stesso favorito 39. La ricca e bella biblioteca è stata invece donata all’Istituto
storico germanico di Roma.
Questa introduzione rappresenta un’ulteriore elaborazione del saggio
di “Studi Storici”, con sostanziali integrazioni e modifiche derivate
dalla disponibilità delle nuove lettere di Manacorda, delle lettere non spedite
di Cantimori e di altre fonti, e da ulteriori ricerche nell’Archivio Cantimori
alla Normale di Pisa (in particolare la corrispondenza di Mario
Mirri, completa delle lettere di Cantimori che egli ha donato all’Archivio,
e che corre parallela a quella con Manacorda), che hanno permesso la
comprensione di passaggi prima oscuri, una più precisa connessione tra
diversi eventi e chiarimenti nella datazione di alcune lettere 40. [...]

 
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