|  
                         La «ricerca 
                          oggettiva»: il rapporto fra la politica e la cultura 
                          per Gastone Manacorda e Delio Cantimori.  
                          Introduzione al carteggio  
                          di Albertina Vittoria  
                           
                          I 
                          Storia di un carteggio e di un’amicizia 
                          Con la pubblicazione di questo carteggio viene esaudita 
                          la volontà di Gastone 
                          Manacorda, che negli ultimi anni della sua vita – 
                          finché le forze 
                          glielo permisero – lavorò a questo fine. 
                          Sulla personalità di studioso e di maestro di 
                          Cantimori e sulla loro 
                          amicizia, Manacorda si soffermò a lungo in fasi 
                          diverse: con la recensione 
                          agli Studi di storia, che apparve sul primo numero di 
                          “Studi Storici” 1, 
                          con il ricordo pubblicato dopo la scomparsa 2, con la 
                          bellissima relazione 
                          al convegno di Russi del 1978, nella quale citò 
                          alcune sue lettere 3, infine, 
                          nell’impegno per l’impostazione e la realizzazione 
                          del seminario su 
                          Cantimori organizzato da “Studi Storici” 
                          e dalla Fondazione Istituto 
                          Gramsci nel giugno 1992 in occasione della pubblicazione 
                          presso Einaudi 
                          di Eretici italiani del Cinquecento e Politica e storia 
                          contemporanea, curati 
                          da Adriano Prosperi (1992) e da Luisa Mangoni (1991) 
                          4.  
                          Negli anni successivi, per quanto sempre più 
                          provato dalla malattia, 
                          Manacorda ritornò a questo rapporto e riprese 
                          in mano le lettere di Cantimori 
                          nelle quali il loro dialogo era racchiuso e conservato. 
                          Le riordinò, 
                          le annotò, ci lavorò in vista di una loro 
                          pubblicazione, aiutato da una delle 
                          sue ultime allieve, Ilaria Mandolesi: numerose sono 
                          le annotazioni fatte 
                          in margine alle lettere, nonché le indicazioni 
                          di carattere tipografico 
                          per un futuro editore di questo materiale 5. Tutte le 
                          lettere di Cantimori 
                          furono poi fatte fotocopiare nell’intento di donarle 
                          all’Archivio della 
                          Scuola Normale Superiore di Pisa: volontà alla 
                          quale si dà seguito assieme 
                          a questa edizione. 
                          Alcune lettere di Cantimori – che usava fare più 
                          versioni di una stessa 
                          missiva – non furono invece ricevute da Manacorda 
                          perché non spedite: 
                          le ho potute vedere grazie alla dott.ssa Maddalena Taglioli, 
                          ora curatrice 
                          dell’Archivio della Normale, che con competenza 
                          e grande disponibilità 
                          le ha cercate e rinvenute nella parte non inventariata 
                          delle 
                          carte di Cantimori (maggio 2012). Sono 11 lettere in 
                          tutto, alcune delle 
                          quali costituiscono una versione diversa di lettere 
                          spedite, altre invece 
                          sono versioni a sé stanti. Come si potrà 
                          constatare, sono testi di grandissimo 
                          interesse poiché completano il pensiero di Cantimori 
                          su questioni 
                          di notevole importanza o forniscono inediti significativi 
                          (come il suo parere 
                          sulla Storia della politica estera italiana di Chabod 
                          e l’incipit della recensione 
                          che non riuscì a scrivere) 6. A queste va aggiunta 
                          la lettera del 
                          10 giugno 1947 (velina dattiloscritta), con la quale 
                          Cantimori accettava di 
                          compiere la traduzione del Capitale, che potrebbe essere 
                          considerata 
                          una vera minuta e che quindi dovrebbe essere stata spedita, 
                          anche se non 
                          era conservata tra le carte di Manacorda. 
                          Tra le carte di Manacorda vi sono molte tracce della 
                          riflessione che accompagnò 
                          il lavoro attorno alle lettere: appunti e commenti, 
                          che a volte si 
                          intrecciano con appunti e commenti di una ventina d’anni 
                          prima relativi 
                          all’elaborazione della relazione per il convegno 
                          di Russi. In due occasioni è avviato l’incipit 
                          di una probabile introduzione al carteggio. Il progetto 
                          probabilmente prevedeva una ricostruzione biografica, 
                          dal momento che 
                          tra le carte è conservato un block notes intitolato 
                          Quaderno di Gastone Manacorda 
                          cominciato il 6 agosto 1997, con l’intento di 
                          illustrare i miei pochi 
                          (ma eccellenti) maestri. Il block notes, interrotto 
                          dopo poche pagine, iniziava 
                          proprio con La mia amicizia con Delio Cantimori, annunciando 
                          il 
                          proposito di volere narrare «come cominciò, 
                          come si sviluppò, attraverso 
                          quali vicende crebbe e come non finì ma morì 
                          di morte naturale»7. 
                          Assieme al riordino delle lettere di Cantimori, Manacorda 
                          proseguì 
                          nella ricerca delle proprie per ricostruire il carteggio 
                          integralmente, ricerca 
                          avviata già in precedenza, come è testimoniato 
                          dalla corrispondenza 
                          con Mario Mirri del 1990 a proposito della destinazione 
                          avuta dalle 
                          carte di Cantimori dopo la scomparsa di Emma Mezzomonti8. 
                          Nel 
                          1997 dall’Archivio della Scuola Normale Superiore 
                          di Pisa, presso il quale 
                          era iniziato il riordino delle Carte Cantimori, ricevette 
                          la fotocopia di 
                          55 delle sue lettere 9. Una parte cospicua delle sue 
                          missive, tuttavia, non 
                          ebbe modo di vederla, perché molte furono ritrovate 
                          dopo la sua scomparsa, 
                          avvenuta il 27 aprile 2001: altre 38 lettere furono 
                          inviate in fotocopia 
                          dalla dott.ssa Milletta Sbrilli a Marcella Manacorda 
                          nel dicembre 
                          2002; mentre altre 36 furono rinvenute successivamente 
                          all’interno dei libri 
                          di Cantimori (nuovo ritrovamento) e mi furono consegnate 
                          personalmente 
                          a Pisa, quando sono tornata per proseguire la mia ricerca 
                          nel 
                          settembre 2009, da Stefano Pieroni 10. Numerose sono 
                          sicuramente le lettere mancanti di Manacorda, come si 
                          può constatare e come si comprende 
                          da riferimenti di Cantimori; così come ne manca 
                          ancora qualcuna 
                          di Cantimori. 
                          A rivedere il lavoro compiuto e gli appunti presi, si 
                          ha l’impressione 
                          che per Manacorda il riandare con la memoria alla vita 
                          del proprio amico 
                          e maestro, alla loro amicizia, alle vicende che li videro 
                          protagonisti, lo aiutasse 
                          a ripercorrere e comprendere le scelte anche della propria 
                          vita. In una 
                          lettera del 21 aprile 1956, ad esempio, Cantimori, consigliando 
                          Manacorda 
                          in merito alla decisione da prendere in una fase in 
                          cui si stava avviando una 
                          riorganizzazione di “Società”, affermava: 
                          «personalmente, soggettivamente, 
                          individualmente, privatamente, come amico», se 
                          si trattava di scegliere 
                          tra l’attività di studioso e quella di 
                          direttore della rivista, «se proprio non 
                          ce la fai a far le due cose insieme, – fa il libro, 
                          e lascia andare il resto»; anche 
                          se, guardando la questione dal punto di vista oggettivo, 
                          si rendeva conto 
                          che la direzione «gastoniana» – come 
                          la definiva – di “Società” 
                          sarebbe 
                          stata l’unica garanzia di vitalità per 
                          la rivista stessa. A commento di questa 
                          frase, Manacorda annotava: «è un pezzo 
                          fondamentale sull’eterno problema 
                          della mia scelta di vita»11, concentrarsi nello 
                          studio e nella scrittura, oppure 
                          impegnarsi nella politica e nell’organizzazione 
                          culturale. Sarà questo 
                          il filo conduttore delle lettere e della loro amicizia. 
                          Ed era proprio il rapporto fra cultura e politica, e 
                          più precisamente 
                          il rapporto con il Partito comunista, che Manacorda 
                          indagava nelle lettere 
                          di Cantimori, come emerge dalla relazione al convegno 
                          di Russi e 
                          come egli affermò in maniera esplicita in quella 
                          occasione. La relazione, 
                          infatti, inizialmente avrebbe dovuto vertere su Delio 
                          Cantimori e la storia 
                          del socialismo 12, mentre solo successivamente il centro 
                          fu spostato su 
                          Cantimori e il Partito comunista italiano, come spiegò 
                          egli stesso nelle 
                          prime pagine del manoscritto letto al convegno, che 
                          verranno cancellate 
                          per la copia destinata agli atti: 
                          Quando il sindaco di Russi mi ha cortesemente invitato 
                          ad indicare quale sarebbe 
                          stato il mio contributo a questo nostro incontro di 
                          riflessione e di studio, la mia 
                          scelta era obbligata. Dei molti campi nei quali Delio 
                          Cantimori ha lavorato soltanto 
                          in uno potevo, infatti, riconoscermi un minimo di competenza. 
                          Scelsi quindi 
                          la storia del socialismo. Avrei, tuttavia, scartato 
                          questa scelta soggettivamente 
                          obbligata se essa non avesse avuto anche ragioni obiettive, 
                          se non avesse contemplato, cioè, un interesse 
                          che per qualche anno occupò considerevolmente 
                          l’operosità 
                          di Cantimori – e per un breve periodo fu, anzi, 
                          prevalente anche sui suoi 
                          interessi più costanti – e si accompagnò 
                          alla fase di più diretto impegno politico 
                          dello studioso. Ma è stata proprio la convinzione 
                          che fosse necessario chiarificare 
                          il rapporto tra l’impegno politico e gli studi 
                          di storia del socialismo a farmi modificare 
                          il tema della relazione così come l’avevo 
                          previsto in un primo momento. 
                          Il mio sarà, dunque (tanto per indicare un titolo 
                          provvisorio), un contributo 
                          alla biografia intellettuale di DC, potrei dire politico-intellettuale, 
                          con particolare 
                          riguardo al suo rapporto col PCI 13. 
                          La questione del rapporto fra attività politica 
                          e ricerca storica riguardava 
                          entrambi, era sentita da entrambi con la stessa passione 
                          e gli stessi interrogativi, 
                          anche se nel corso del tempo sarà declinata in 
                          maniera diversa: 
                          le loro lettere narrano questo percorso e come esso 
                          sia maturato 
                          di fronte agli eventi – politici, culturali, interni 
                          e internazionali – che segnarono 
                          gli anni Cinquanta. Le pagine che seguono saranno centrate 
                          su 
                          questo aspetto specifico del loro rapporto, senza avere 
                          la pretesa di indagare 
                          né le rispettive produzioni storiografiche, né 
                          il complessivo dibattito 
                          e i temi della storiografia di quegli anni. 
                          Il loro non fu un rapporto asettico, ma di profonda 
                          amicizia. Un’amicizia 
                          sui generis, poiché se Manacorda ha sempre riconosciuto 
                          in Cantimori 
                          un maestro, la persona che ebbe su di lui «la 
                          maggiore influenza 
                          [...] come studioso» 14, tuttavia non ne era allievo 
                          accademico: questo, 
                          come si vede dalle lettere, fece sì che il loro 
                          fosse un rapporto – anche 
                          se, certo, non totalmente – alla pari. Dal canto 
                          suo, Cantimori, legato a 
                          Manacorda per la comune convinzione che la cultura non 
                          doveva essere 
                          sottomessa a fini politici, aveva una stima profonda 
                          per lui sia dal punto 
                          di vista umano, sia come studioso. In una delle lettere 
                          non spedite, ad 
                          esempio, nel 1947 Cantimori, paragonando i propri trent’anni 
                          ai suoi, gli 
                          scriveva che, rispetto a sé, «tu hai scavato 
                          in profondo, hai fatto il viaggio 
                          al centro della terra: tu non sai forse quante energie 
                          puoi sviluppare, 
                          se viene il momento che tu ti possa dedicare un po’ 
                          più agli studi»: «vorrei 
                          che tutti avessimo fatto alla tua età quello 
                          che tu hai fatto e stai facendo. Conta anche la maturità 
                          del giudizio e la sicurezza dell’orientamento 
                          e la precisione dell’espressione» 15. 
                          Secondo quanto scrisse Cantimori nel 1959, in una bozza 
                          di lettera di 
                          presentazione del figlio minore di Manacorda, Benedetto, 
                          per una borsa 
                          di studio dell’American Field Service, la loro 
                          amicizia iniziò nell’«inverno 
                          1939-40», quando egli conobbe suo fratello Paolo 
                          Emilio nella redazione 
                          dell’Enciclopedia italiana, della quale erano 
                          entrambi collaboratori16. 
                          Il fratello minore di Manacorda, italianista, era entrato 
                          in contatto 
                          nella Facoltà romana di Lettere con Mario Alicata, 
                          Carlo Muscetta, Carlo 
                          Salinari e altri giovani che avrebbero avviato la propria 
                          attività antifascista 
                          alla fine degli anni Trenta, alcuni dei quali sarebbero 
                          divenuti comunisti: 
                          sarà proprio lui a fare da tramite tra Gastone 
                          Manacorda, che 
                          si era laureato in Legge, e questo gruppo, attraverso 
                          il quale ebbe inizio 
                          il suo impegno politico 17. Vita segnata da un tragico 
                          destino, poiché, inviato 
                          al fronte in Jugoslavia, Paolo Emilio morì il 
                          25 febbraio 1942, ucciso 
                          da quei partigiani nelle cui file stava cercando di 
                          passare 18. 
                          L’amicizia con Paolo Emilio, «purtroppo 
                          rimasta “prima”, senza seguito 
                          », veniva ricordata da Cantimori con rimpianto 
                          nella corrispondenza 
                          con Manacorda19 e in questa lettera di presentazione 
                          per Benedetto, 
                          dove parlava dell’incontro sia con Gastone che 
                          con l’altro fratello, 
                          Mario Alighiero, e del rapporto con «una famiglia 
                          della quale avevo 
                          sentito parlare per le sue tradizioni patriottiche (un 
                          nonno garibaldino) 
                          e scientifiche (il Prof. Giuseppe Manacorda, studioso 
                          di storia e letteratura 
                          dei più valenti, famoso per le sue iniziate ricerche 
                          di storia della 
                          scuola, delle quali avevo preso conoscenza quando studiavo 
                          all’università) 
                          », scomparso prematuramente per l’epidemia 
                          di febbre spagnola il 
                          4 gennaio 1920 20. Manacorda ha invece collocato l’incontro 
                          con Cantimori alla fine del 1942 (sbagliando in realtà 
                          di un anno, poiché l’incontro avvenne alla 
                          fine 
                          del 1941) 21, quando egli – allora docente all’Istituto 
                          magistrale di Perugia 
                          – lo andò a trovare a Roma per parlargli 
                          della Cospirazione per l’uguaglianza 
                          di Filippo Buonarroti, la cui traduzione voleva proporre 
                          all’editore 
                          Einaudi, idea che Cantimori trovò «ottima» 
                          22. Da allora nacque 
                          un’amicizia che si rafforzò per il comune 
                          antifascismo, i comuni interessi 
                          storiografici, in particolare per «l’interesse 
                          verso la storia del socialismo, 
                          verso il marxismo, verso la rivoluzione russa: che era 
                          un’esigenza 
                          politica – ha ricordato Manacorda –, ma 
                          che volevamo trattare come materia 
                          di studio» 23. Sarebbe poi proseguita dopo la 
                          Liberazione, nella collaborazione 
                          alla casa editrice Einaudi, nell’impegno nell’Associazione 
                          per la difesa della scuola nazionale, nelle riviste 
                          e nelle istituzioni che facevano 
                          capo al PCI. 
                          Le lettere tra i due studiosi rivelano un’amicizia 
                          che andava al di là degli 
                          impegni condivisi e degli interessi scientifici, ed 
                          offrono frequenti spaccati 
                          di vita quotidiana e di familiarità: l’ospitalità 
                          nelle rispettive case di Roma 
                          e di Firenze, la reciproca simpatia tra le mogli, Marcella 
                          Balboni ed Emma 
                          Mezzomonti, le attenzioni di Cantimori per i figli di 
                          Manacorda, Giorgio 
                          e Benedetto, lo scambio di pensieri e di libri, lo schermirsi 
                          di Manacorda 
                          per le formalità del «vecchio zio», 
                          prodigo di doni, «fiori ed omaggi 
                          cavallereschi»24. «Ma come esprimere la 
                          gratitudine per come sono stato 
                          bene, anche psicologicamente e intellettualmente, da 
                          voi – scriveva Cantimori in occasione di un’ospitalità 
                          romana nel 1955 –, e per le cose, anche 
                          non dette, che ho imparato stando con voi? Sono io che 
                          devo ringraziarvi 
                          della confortante amicizia che ho sentito e percepito 
                          a casa vostra!»25. 
                          E ancora, tra una discussione su questioni politiche 
                          o storiografiche 
                          e l’altra, le informazioni sulla salute e i malesseri 
                          fisici e psicologici, con 
                          suggerimenti e consigli su farmaci e cure. L’annuncio, 
                          infine, di notizie 
                          gioiose della famiglia: «stamane è nata 
                          una nipotina bella, vispa e robusta, 
                          con grande gioia dei giovani genitori nonché 
                          dei men giovani nonni 
                          », comunicava felice Gastone Manacorda il 21 giugno 
                          1966 la nascita 
                          della primogenita di Giorgio, Simona, in quella che 
                          fu la penultima lettera 
                          della loro corrispondenza. 
                          Assieme a loro, Emma e Marcella, presenze forti e coraggiose 
                          a fianco 
                          dei rispettivi compagni. 
                          Emma Mittempergher, nata a Bolzano nel 1903 – 
                          «di razza degasperiana 
                          (è un complimento, in un certo senso, e dico 
                          sul serio)», come la 
                          definiva scherzosamente Cantimori26 –, il cui 
                          cognome venne italianizzato 
                          in Mezzomonti, traduttrice del Manifesto del Partito 
                          Comunista, di 
                          diverse opere di Marx e di Engels e di Aby Warburg, 
                          dopo esser stata redattrice 
                          delle Edizioni Rinascita e aver insegnato tedesco nelle 
                          superiori, 
                          nel 1950 fu incaricata di lingua tedesca presso la Facoltà 
                          di Scienze economiche 
                          dell’Università di Firenze27. Di lei, militante 
                          comunista e collaboratrice 
                          del “Soccorso rosso”, si è sempre 
                          parlato per il ruolo importante 
                          avuto nella maturazione del pensiero politico del futuro 
                          marito, anzi 
                          per l’esser stata determinante nel suo passaggio 
                          dal fascismo all’antifascismo 
                          e al comunismo28: una annotazione di Cantimori, di commento 
                          a 
                          una gita a Caprarola con Emma del 1935, citata da Adriano 
                          Prosperi, accenna al «mescolar cose umane con 
                          la vita pubblica, politica»29, come caratteristica 
                          della personalità della futura moglie, che confermerebbe 
                          l’impossibilità 
                          di un legame laddove le idee politiche dell’uno 
                          e dell’altra fossero 
                          rimaste distanti. Roberto Pertici, invece, sulla base 
                          della documentazione 
                          fornita da Silvana Seidel Menchi, sposta i tempi dell’antifascismo 
                          di Cantimori, ritenendo che Cantimori ed Emma Mezzomonti 
                          quando si 
                          sposarono nel 1936 erano ancora su posizioni differenti, 
                          il che, peraltro, 
                          rafforzerebbe il ruolo della moglie nella maturazione 
                          delle scelte politiche 
                          del marito30. In una lettera del 1961 alla sua allieva 
                          Silvana Menchi, 
                          infatti, Cantimori, con «trasparente riferimento» 
                          al proprio matrimonio, 
                          aveva scritto: «Conosco una A comunista che tanti 
                          mai anni fa sposò un 
                          non comunista B, antico fascista (non squadrista o altro), 
                          sinistrorsa 
                          umanitaria, piena di riserve antistaliniane ecc.; quando 
                          (si era in periodo 
                          “cospirativo”) A domandò consiglio 
                          a Emilio Sereni, questi rispose: purché 
                          non ti impedisca la tua attività, sapendo i rischi 
                          che comporta» 31. 
                          Questo farebbe quindi pensare che almeno fino al 1935 
                          – periodo cui si 
                          riferisce l’accenno autobiografico – Cantimori 
                          non condividesse la posizione 
                          politica e ideale della futura moglie, tanto da dovere 
                          quest’ultima 
                          chiedere l’avallo per il proprio matrimonio a 
                          un dirigente del PCI. Come 
                          si vedrà, dalle lettere a Manacorda e a Mario 
                          Mirri, si direbbe che la sua 
                          crisi e la fine delle «illusioni» sul «carattere 
                          rivoluzionario e rinnovatore 
                          » del fascismo fosse iniziata addirittura prima, 
                          fra il 1933 e il 1934, in rapporto 
                          quindi all’avvento del nazismo in Germania: «fu 
                          anche il nazionalsocialismo 
                          ad aprirmi gli occhi», come scriveva a Mirri32. 
                          Non molto di più, però, è dato 
                          sapere di questa forte personalità, che, 
                          incaricata dal Partito comunista di stabilire «un 
                          contatto» con il giovane 
                          professore Cantimori33 – conosciuto a Roma all’Istituto 
                          di studi germanici, dove egli fu assistente fra il 1934 
                          e il 1936 –, riuscì ad avere un’importante 
                          influenza su di lui, inserendosi nel processo di distacco 
                          da quella che 
                          era allora la sua convinzione: vale a dire che «il 
                          fascismo aveva fatto e stava 
                          facendo la vera rivoluzione italiana, che doveva diventare 
                          rivoluzione 
                          europea» e che «la strada giusta fosse per 
                          l’Italia quella dei fascisti»34; contribuendo 
                          quindi al suo avvicinamento al PCI, al quale egli si 
                          sarebbe iscritto 
                          nel 1948. E che, di lì in avanti, avrebbe mantenuto 
                          con il marito un rapporto 
                          anche di collaborazione scientifica quasi simbiotico, 
                          così come l’ha 
                          ricordato Manacorda a proposito della traduzione del 
                          Manifesto: 
                          L’edizione e il commento sono di Emma Cantimori 
                          Mezzomonti, le cui qualità 
                          di studiosa molti di noi hanno conosciuto e apprezzato, 
                          e chi vi parla in particolare per averla avuta collaboratrice 
                          preziosa nella redazione delle «Edizioni 
                          Rinascita» fra il 1946 e il 1950. D’altra 
                          parte, sappiamo quale fosse la collaborazione 
                          costante di Emma al lavoro di Delio [...] La traduzione 
                          e il commento del 
                          Manifesto sono usciti – dirò con un’immagine 
                          alla quale Cantimori ricorreva frequentemente 
                          parlando del suo lavoro – da quel laboratorio 
                          artigiano che era il 
                          suo studio, la sua casa, la sua straordinaria biblioteca, 
                          e che non si possono immaginare 
                          senza la presenza attiva della sua compagna di vita 
                          e di lavoro 35. 
                          E come riconosceva lo stesso Cantimori, quando, nel 
                          comunicare a Manacorda 
                          di aver finito la traduzione del Capitale, oltre a ringraziare 
                          l’amico 
                          di averlo spinto in questo lavoro dandogli «il 
                          coraggio e la fiducia in 
                          me necessaria», sottolineava: «Senza l’Emma, 
                          non avrei continuato»36. E 
                          Manacorda a sua volta: «oltre che con te, mi congratulo 
                          con Emma, i cui 
                          meriti sono anche in questo caso di gran lunga superiori 
                          ai miei» 37. 
                          Di Emma Mezzomonti, scomparsa il 18 marzo 1969, si sente 
                          la presenza 
                          nei riferimenti di Cantimori, si avverte l’ammirazione 
                          di Manacorda 
                          che la voleva tra i collaboratori di “Società” 
                          e che l’apprezzava per 
                          la sua opera di traduttrice. Se ne intravede la figura 
                          dietro le quinte, da 
                          dove seguiva i rapporti del marito, pronta anche a scrivere 
                          – magari in 
                          maniera riservata – all’amico Manacorda, 
                          per fugare dubbi su possibili 
                          incomprensioni. 
                          Così come si sentono nelle lettere la presenza 
                          affettuosa e costante 
                          di Marcella Balboni e, assieme a lei, gli echi della 
                          vita familiare e delle 
                          amicizie, le difficoltà economiche e lavorative. 
                          Nata a Roma nel 1919, 
                          sposatasi giovanissima nel 1940 e presto madre dei due 
                          figli nati a poco 
                          più di un anno di distanza, Giorgio e Benedetto, 
                          seguì il marito nelle destinazioni 
                          dove lo condussero prima l’insegnamento, a Perugia, 
                          poi la 
                          guerra, a Treviso, tornando dopo l’8 settembre 
                          a Roma, dove Manacorda 
                          partecipò all’attività clandestina 
                          della Resistenza. Marcella Balboni 
                          aveva studiato chimica all’Università ma 
                          nei tempi assai duri della guerra 
                          e dell’occupazione tedesca non le fu possibile 
                          continuare gli studi, che 
                          terminò solo dopo la Liberazione, abbandonando 
                          poi la professione per 
                          dedicarsi al lavoro editoriale presso le Edizioni di 
                          cultura sociale e poi 
                          gli Editori Riuniti. 
                          Marcella è scomparsa il 25 giugno 2006 e non 
                          posso qui non ricordarla 
                          con un sentimento di profonda nostalgia e di immensa 
                          gratitudine. 
                          A lei si deve questo lavoro, così come alla disponibilità 
                          del figlio 
                          Giorgio, che da solo ha dovuto assumere l’onere 
                          dell’eredità intellettuale 
                          paterna, essendo Benedetto tragicamente scomparso nel 
                          luglio 1999. Dopo la morte di Gastone Manacorda, quel 
                          legame che avevo stabilito 
                          con lui – da allieva “adottata”, se 
                          posso dir così, da quando iniziai 
                          a studiare gli organismi culturali, “Studi Storici” 
                          e l’Istituto Gramsci, 
                          nei quali egli fu protagonista di primo piano – 
                          è proseguito trasferendosi 
                          nell’amicizia che da quel momento nacque con Marcella: 
                          lei ebbe 
                          il grande coraggio – lo dico senza retorica – 
                          di aprire la porta dello 
                          studio di Gastone, di indicarmi gli scaffali dove erano 
                          le sue carte, di 
                          farmi mettere alla sua scrivania – cosa che feci 
                          non senza emozione, e 
                          posso immaginare la sua nel vedere nuovamente una figura 
                          in quella 
                          stanza – e di farmele esaminare e studiare. Da 
                          qui è nato il progetto del 
                          fascicolo monografico che “Studi Storici”, 
                          la rivista da lui fondata e diretta, 
                          ha voluto dedicargli nel 2003, sostenuto dalla direzione 
                          della rivista 
                          e dal direttore Francesco Barbagallo e realizzato con 
                          la collaborazione 
                          di Claudio Natoli e Leonardo Rapone. Da qui la richiesta 
                          che ella 
                          mi fece di occuparmi del carteggio con Cantimori per 
                          il saggio apparso 
                          su “Studi Storici” e poi per l’edizione 
                          integrale che ora, dopo diversi 
                          anni, vede la luce. Dopo la scomparsa di Marcella, Giorgio 
                          Manacorda 
                          ha ritenuto che il luogo migliore dove conservare le 
                          carte del padre 
                          – delle quali avevo fatto un primo riordino – 
                          fosse l’archivio della 
                          Fondazione Istituto Gramsci38, dove egli fino all’ultimo 
                          aveva riversato 
                          il proprio impegno, anche con l’attiva partecipazione 
                          a “Studi Storici”, 
                          dal 1983 diretta da Francesco Barbagallo, cambio di 
                          direzione da lui 
                          stesso favorito 39. La ricca e bella biblioteca è 
                          stata invece donata all’Istituto 
                          storico germanico di Roma. 
                          Questa introduzione rappresenta un’ulteriore elaborazione 
                          del saggio 
                          di “Studi Storici”, con sostanziali integrazioni 
                          e modifiche derivate 
                          dalla disponibilità delle nuove lettere di Manacorda, 
                          delle lettere non spedite 
                          di Cantimori e di altre fonti, e da ulteriori ricerche 
                          nell’Archivio Cantimori 
                          alla Normale di Pisa (in particolare la corrispondenza 
                          di Mario 
                          Mirri, completa delle lettere di Cantimori che egli 
                          ha donato all’Archivio, 
                          e che corre parallela a quella con Manacorda), che hanno 
                          permesso la 
                          comprensione di passaggi prima oscuri, una più 
                          precisa connessione tra 
                          diversi eventi e chiarimenti nella datazione di alcune 
                          lettere 40. [...]  |