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                         Prefazione 
                          di Giuseppe Vacca 
                           
                          Guerra antifascista e nazionalizzazione dei partiti 
                          comunisti 
                          «Bisognerebbe far diventare i partiti 
                          comunisti assolutamente autonomi, e non sezioni dell’IC. 
                          Essi devono trasformarsi in partiti comunisti nazionali 
                          con diverse 
                          denominazioni [...]. L’importante è che 
                          [...] si radichino nel proprio popolo e si 
                          concentrino sui propri specifici compiti [...] ma non 
                          con lo sguardo rivolto a Mosca; 
                          che risolvano autonomamente i compiti concreti che stanno 
                          dinnanzi a loro, 
                          [che] nei differenti paesi sono del tutto diversi». 
                          Stalin pronunciò queste parole 
                          nella notte del ?? aprile ????. Percepiva l’imminenza 
                          dell’aggressione hitleriana e 
                          si preparava alla “guerra patriottica”. 
                          Il giorno successivo Dimitrov pose a Togliatti 
                          e a Thorez il problema dello scioglimento del Comintern, 
                          ricevendone un 
                          assenso convinto?. Subito dopo l’invasione dell’URSS 
                          Togliatti venne reintegrato 
                          nel vertice dell’Internazionale e addetto alle 
                          trasmissioni radio per l’Italia?. Nei 
                          suoi messaggi radiofonici egli cominciava a inserire 
                          riferimenti sempre più ampi 
                          alla storia d’Italia per dare basi più 
                          solide alla nuova politica del partito. È un 
                          terreno sul quale egli si trovava a suo agio: su una 
                          reinterpretazione della storia d’Italia si era 
                          basato il nuovo orientamento del PCI nel ????-?? e Togliatti, 
                          che ad esso aveva contribuito, farà di quel nuovo 
                          inizio il tratto distintivo della “tradizione” 
                          del partito?. Fra il ???? e il ???? egli aveva già 
                          avuto modo di studiare i manoscritti 
                          dei Quaderni del carcere e ad essi attingerà 
                          costantemente?. Via via che il 
                          movimento comunista si posizionava nella «guerra 
                          antifascista», prendeva corpo 
                          la prospettiva delle «guerre di liberazione nazionale», 
                          già individuata nel rapporto 
                          al VII Congresso dell’Internazionale come possibile 
                          risposta alla «guerra totale» 
                          di Hitler?. Gli sviluppi della guerra fra il ???? e 
                          il ???? legittimavano un orienta- 
                          mento strategico di cui Togliatti era convinto da tempo?. 
                          Ma furono soprattutto 
                          la caduta del fascismo e la costituzione della Grande 
                          Alleanza a consentirgli di approfondire i temi della 
                          «guerra di liberazione in Italia» che lo 
                          persuasero a scommettere sulla tenuta della coalizione 
                          antifascista come nuova cornice delle relazioni internazionali, 
                          nella quale l’antifascismo avrebbe potuto essere 
                          un’opzione stabile del moimento comunista?. Con 
                          l’inizio della guerra fredda Stalin accantonò 
                          quella prospettiva e si tornò ai vecchi schemi. 
                          Ma la collocazione dell’Italia nella sfera di 
                          influenza occidentale consentiva a Togliatti di non 
                          rinunciarvi e questo si riverberò anche sugli 
                          sviluppi della sua riconsiderazione della storia d’Italia. 
                          Rispetto alla definizione molto densa che ne avevano 
                          dato le Tesi di Lione, la seconda guerra mondiale diede 
                          il via a innovazioni significative. Le più rilevanti 
                          si 
                          collocano nel periodo della guerra di liberazione e 
                          della nascita della Repubblica. 
                          Ciò non può sorprendere, poiché 
                          in quegli anni mutarono il ruolo del comunismo 
                          nella politica mondiale, quello della classe operaia 
                          e del PCI nella politica italiana. 
                           
                          La politica estera dell’Italia. Linee di mutamento 
                          della cultura politica del PCI 
                          Si può fissare come punto di partenza 
                          il momento in cui le principali innovazioni 
                          della politica di Togliatti, la democrazia progressiva 
                          e il partito nuovo, sono ormai 
                          delineate, il PCI si accinge a entrare nel governo Badoglio 
                          e la “politica di unità nazionale” 
                          è garantita dalla Grande Alleanza. Nel rapporto 
                          ai quadri dell’organizzazione comunista napoletana 
                          (?? aprile ????) sono presenti riferimenti significativi 
                          alla storia della politica estera italiana, miranti 
                          a «giustificare» la politica estera futura?. 
                          Ma la sede in cui i riferimenti alla storia d’Italia 
                          sono sviluppati con maggiore ampiezza è il rapporto 
                          al V Congresso del partito (?? dicembre ????). In esso 
                          la storia d’Italia dalla Rivoluzione francese 
                          in poi è ricapitolata nelle sue linee 
                          essenziali e il metodo storico è posto a fondamento 
                          di una politica nazionale: 
                          Quando ora guardiamo il punto cui siamo arrivati non 
                          possiamo staccare gli occhi da tutto questo passato. 
                          Scusate dunque – egli dice rivolgendosi ai delegati 
                          – questo richiamo alla nostra storia. Credo sia 
                          necessario, anche perché il nostro partito non 
                          potrà adempiere bene alla propria funzione nazionale 
                          se i nostri quadri dirigenti non saranno bene orientati 
                          su tutti i problemi della vita della nazione e la radice 
                          di questi problemi sta nel passato?. 
                          La nuova strategia del PCI presuppone uno sviluppo e 
                          un’articolazione dell’interpretazione della 
                          storia d’Italia condensata nelle Tesi di Lione. 
                          Non sorprende che essi si focalizzino innanzitutto sulla 
                          storia della politica estera: il PCI è legato 
                          a una delle potenze vincitrici che decideranno insieme 
                          il futuro dell’Italia, fa parte del governo e 
                          Togliatti mira a riplasmarlo come “partito di 
                          governo”. Nel periodo precedente non si può 
                          dire che il PCI avesse sviluppato una politica estera, 
                          né che avesse approfondito la storia della politica 
                          estera dell’Italia. Nelle Tesi di Lione i riferimenti 
                          al tema sono scarsi: il primo è al governo Crispi, 
                          iniziatore di una politica estera imperialistica; 
                          il secondo riguarda il fascismo, il cui velleitario 
                          «espansionismo» era destinato 
                          a fare dell’Italia «uno strumento nelle 
                          mani di uno dei gruppi imperialisti 
                          che si contendono il dominio del mondo»??. In 
                          questa scia, indicata da Gramsci, si 
                          era mosso in seguito anche Togliatti, inserendo la politica 
                          estera del fascismo nella 
                          «tradizione» della politica estera dell’Italia, 
                          denunciando il «revisionismo» fascista 
                          come fomentatore di una nuova guerra europea, avvertendo 
                          che la sua prospettiva 
                          andava in rotta di collisione con il nazismo poiché 
                          gli interessi geostrategici dell’Italia nell’area 
                          danubiana e balcanica cozzavano con quelli della Germania 
                          e infine ravvisando nell’asse con la Germania 
                          hitleriana la scelta più sciagurata che l’Italia 
                          potesse fare poiché si consegnava nelle mani 
                          dell’imperialismo peggiore??. 
                          Pur nella sua scarna essenzialità, questa interpretazione 
                          aveva favorito la politica 
                          del PCI dopo l’entrata in guerra dell’Italia 
                          e, via via che i rovesci militari provocavano la crisi 
                          del fascismo, aveva permesso a Togliatti di individuare 
                          nello sganciamento dalla Germania un obiettivo efficace, 
                          capace di intercettare dinamiche che interessavano la 
                          monarchia, il Vaticano e parti significative della borghesia, 
                          cogliendo le linee di frattura del “blocco storico” 
                          del fascismo??. Ancor più importante, alla caduta 
                          del fascismo gli aveva consentito di elaborare quella 
                          politica che, dopo il riconoscimento sovietico del governo 
                          Badoglio, al rientro di Togliatti in Italia prese l’appellativo 
                          di “svolta di Salerno”. La documentazione 
                          resa disponibile dalla “rivoluzione degli archivi” 
                          ne mostra i condizionamenti e le oscillazioni fra dicembre 
                          ???? e marzo ??????. Ma non avremmo dovuto attendere 
                          le rivelazioni del Diario di Dimitrov per scoprire che 
                          essa era stata concordata con Stalin: l’aveva 
                          reso noto Togliatti stesso nel discorso celebrativo 
                          pronunciato alla Camera dei deputati il ? marzo ???? 
                          in occasione della morte del dittatore sovietico??. 
                          L’interpretazione della storia d’Italia 
                          sintetizzata nelle Tesi di Lione era stata 
                          fortemente influenzata dall’esigenza di inquadrare 
                          l’avvento del fascismo nella crisi 
                          generale della società italiana originata dalla 
                          Grande Guerra e conteneva una critica 
                          radicale del Risorgimento. Quella interpretazione veniva 
                          ora rivista in punti essenziali. Legittimato dall’indirizzo 
                          antifascista del comunismo internazionale, Togliatti 
                          si dedicò a sceverare le correnti progressive 
                          del liberalismo italiano per collegarvi la sua politica. 
                          Ma le conclusioni della seconda guerra mondiale determinarono 
                          revisioni ancora più ampie. Esse avviarono un 
                          mutamento dei paradigmi della cultura politica del PCI, 
                          di cui Togliatti fu l’interprete principale. 
                           
                          L’eredità di Cavour, di Mazzini 
                          e di Giolitti 
                          Nel formulare la «politica di unità nazionale» 
                          egli appare estremamente avvertito 
                          di quella che sarebbe stata la condizione dell’Italia 
                          alla fine della guerra. La 
                          Conferenza di Casablanca (??-?? gennaio ????), che aveva 
                          deciso la «resa incondizionata » delle potenze 
                          dell’Asse, e quella di Quebec (??-?? agosto ????), 
                          che assegnava ai comandi militari alleati le decisioni 
                          politiche nei territori occupati, 
                          accrescevano il rischio di una divisione del paese, 
                          occupato per due terzi dalle 
                          armate naziste. L’armistizio e il riconoscimento 
                          dello status di paese cobelligerante, 
                          ottenuti dal “Regno del Sud”, non bastavano 
                          a garantire all’Italia un trattamento 
                          non del tutto umiliante al tavolo della conferenza di 
                          pace. Per conquistare 
                          una condizione meno svantaggiosa, l’Italia, pensava 
                          Togliatti, avrebbe dovuto 
                          partire dal riconoscimento della sua situazione e delle 
                          sue responsabilità: 
                          era un paese vinto, corresponsabile dello scatenamento 
                          della guerra, aggressore 
                          della Francia, della Grecia, della Jugoslavia e dell’Unione 
                          Sovietica. L’unica possibilità di migliorare 
                          la propria condizione consisteva quindi nello sviluppo 
                          della 
                          guerra di liberazione e nel contributo che essa avrebbe 
                          potuto dare alle potenze 
                          alleate accelerando la sconfitta di Hitler. Tutto ciò 
                          comportava la rinuncia, 
                          in futuro, alle ambizioni coloniali perseguite dall’Italia 
                          da Crispi a Mussolini. La 
                          consapevolezza che dalla guerra sarebbe scaturita una 
                          dimensione del tutto nuova 
                          delle “grandi potenze” rendeva evidente 
                          che l’Italia non avrebbe potuto più 
                          ambire a essere una di loro. Avrebbe dovuto battersi, 
                          invece, per un nuovo assetto 
                          europeo, basato sull’indipendenza nazionale e 
                          la cooperazione internazionale 
                          fra tutti i popoli. La permanenza della coalizione antifascista 
                          avrebbe garantito 
                          la pace e l’equilibrio di una nuova “Europa 
                          delle nazioni”, amica anche 
                          dell’URSS, assurta al rango di grande potenza 
                          mondiale. Ma soprattutto l’Italia 
                          avrebbe dovuto svolgere un ruolo attivo per contrastare 
                          ogni rischio di rottura 
                          della Grande Alleanza e battersi perché l’Europa 
                          non venisse divisa in blocchi 
                          contrapposti. In essi Togliatti ravvisava il pericolo 
                          maggiore per il paese a causa 
                          della sua arretratezza, della sua debole competitività 
                          e dell’essere un’economia 
                          di trasformazione, per la quale era indispensabile la 
                          più ampia circolazione degli 
                          scambi??. Questa visione era intrisa di una forte diffidenza 
                          verso l’ipotesi federalista che sarebbe durata 
                          per tutto il ventennio successivo. Lo «spazio 
                          europeo », per Togliatti, si estendeva dall’Atlantico 
                          agli Urali ed egli pensava che la 
                          prospettiva «mai più guerra in Europa» 
                          potesse essere garantita solo dal permanere della collaborazione 
                          fra i paesi della Grande Alleanza. Vi era un’evidente 
                          sottovalutazione delle ragioni che in breve volgere 
                          di tempo ne determinarono la rottura e, quando questa 
                          si verificò, Togliatti puntò le sue carte 
                          sul suo superamento, mantenendo fino all’ultimo 
                          riserve fondamentali sull’integrazione europea. 
                          Credo che la sua posizione fosse condizionata dai timori 
                          suscitati dalla 
                          preponderanza strategica degli Stati Uniti e dall’adesione 
                          alla teoria dell’imperialismo, dalla quale derivavano 
                          una visione unilaterale dei pericoli di guerra e una 
                          sottovalutazione del dato più rilevante scaturito 
                          dalla seconda guerra mondiale: l’interdipendenza??. 
                          La sua concezione dell’indipendenza nazionale 
                          appare quindi anacronistica: nel mondo del dopoguerra 
                          la creazione di spazi economici e politici sovranazionali 
                          era un fatto ineluttabile e progressivo; le chances 
                          dell’Italia nella sfera di influenza in cui essa 
                          era collocata non potevano risiedere che nella capacità 
                          di coglierne il “nesso internazionale” virtuoso. 
                          È difficile dire quanto Togliatti credesse alla 
                          possibilità che la divisione del mondo originata 
                          dalla guerra fredda venisse superata in tempi politicamente 
                          utili. In ogni caso, la situazione e il “legame 
                          di ferro” con l’URSS non gli consentivano 
                          la possibilità di giocare un’altra carta; 
                          onde alla politica nazionale del PCI veniva a mancare 
                          l’elemento basilare di un “nesso internazionale” 
                          spendibile. Ma non è compito di questo scritto 
                          approfondire la politica estera di Togliatti. Per il 
                          periodo ????-?? essa è stata ricostruita in modo 
                          persuasivo da Roberto Gualtieri e da Silvio Pons, ai 
                          cui studi rinvio ??. Vorrei dedicare, invece, la mia 
                          attenzione al ripensamento della storia della politica 
                          estera italiana che la nuova collocazione del PCI sollecitava. 
                          Lo si può riassumere nella valorizzazione di 
                          quelle correnti della tradizione risorgimentale che 
                          avevano saputo conquistare e difendere l’indipendenza 
                          nazionale perseguendo una politica di equilibrio europeo 
                          ed erano state capaci di cogliere le opportunità 
                          derivanti anche dai contrasti fra le potenze europee, 
                          ma non in chiave sciovinistica, bensì per concorrere 
                          a una politica di sicurezza e di cooperazione internazionale. 
                          In estrema sintesi, la tradizione riassunta nella formula 
                          «indipendenti sempre, 
                          isolati mai». In occasione della Conferenza di 
                          Londra, per sostenere una soluzione 
                          negoziata fra l’Italia e la Jugoslavia del problema 
                          della frontiera orientale 
                          e della questione di Trieste, il ?? settembre ???? Togliatti 
                          scriveva: 
                          Ritengo che una politica nazionale dell’Italia 
                          deve rimanere fedele all’idea direttrice che fu 
                          di Camillo Cavour, di Giuseppe Mazzini e persino di 
                          Giovanni Giolitti, secondo la quale il popolo italiano 
                          deve essere amico e stretto collaboratore dei popoli 
                          slavi dell’Adriatico??. Nel rapporto al V Congresso, 
                          contrastando la costituzione di blocchi contrapposti, 
                          affermava che, a qualunque di essi l’Italia avesse 
                          aderito, avrebbe avuto il ruolo del «vassallo 
                          di qualcuno», come già era accaduto «nei 
                          primi decenni della Triplice »??; e il ?? luglio 
                          ????, intervenendo all’Assemblea Costituente sulla 
                          formazione del secondo governo De Gasperi, ribadiva 
                          quella linea affermando: «Ciò che dico 
                          è del resto nella tradizione [...] che parte 
                          da Cavour, che continua con Visconti Venosta e con tutti 
                          i Ministri degli Esteri italiani che seppero fare una 
                          intelligente politica nazionale». 
                          Il richiamo di questa tradizione era reiterato soprattutto 
                          per sostenere l’«interesse 
                          » dell’Italia a che l’Unione Sovietica 
                          non venisse esclusa dal concerto europeo. 
                          Nel rapporto al V Congresso, dopo aver ribadito che 
                          l’Italia doveva fare 
                          una politica di amicizia anche con l’URSS non 
                          «per motivi ideologici», ma per 
                          «motivi nazionali», ricordava che «dal 
                          Congresso di Vienna fino al ????-??» la 
                          Russia era stata la potenza che più aveva favorito 
                          l’unità d’Italia. Certo, quell’atteggiamento 
                          era stato originato dal suo interesse a promuovere un 
                          nuovo equilibrio europeo nel Mediterraneo. Ma proprio 
                          per questo l’Italia del dopoguerra 
                          avrebbe trovato nell’Unione Sovietica un valido 
                          appoggio al fine di evitare di divenire il vassallo 
                          «di un grande imperialismo straniero». Dunque, 
                          l’amicizia con 
                          l’Unione Sovietica corrispondeva a un indirizzo 
                          di indipendenza nazionale ??. 
                          Questa interpretazione culmina nel Discorso su Giolitti 
                          (?? aprile ????). Come è 
                          noto, esso segna uno dei punti di maggiore innovazione 
                          di Togliatti rispetto alla 
                          storiografia dominante e alla stessa visione gramsciana 
                          della storia d’Italia dall’unità 
                          al fascismo: Giolitti è sottratto alla tradizione 
                          «trasformistica» e presentato come un «riformista» 
                          sconfitto dal sopravvenire della «guerra imperialistica»??. 
                          È molto significativa la sottolineatura del suo 
                          atteggiamento riluttante verso la 
                          guerra di Libia: «Il pericolo che da quella scintilla 
                          potesse sorgere un incendio 
                          più grande – scrive Togliatti – non 
                          è perduto di vista, ma non domina». Giolitti, 
                          dunque, «grazie all’apporto diretto e indiretto 
                          della diplomazia zarista», si dispose 
                          alla guerra come a «una questione da regolare» 
                          in fretta per «non avere più 
                          quella pendenza» in un futuro prossimo che si 
                          annunciava turbolento e incontrollabile. 
                          Così, concludeva Togliatti, veniva continuata 
                          «la tradizione piemontese, 
                          che è tradizione di contatto e amicizia con la 
                          grande potenza orientale e ricerca 
                          di appoggio di quella parte». In quella tradizione 
                          iscriverà alcuni anni dopo 
                          anche Badoglio, sottolineando la fermezza con cui aveva 
                          saputo difendere, dopo 
                          il «lungo armistizio», le ragioni della 
                          dignità e dell’indipendenza nazionale??. 
                           
                          Questione cattolica e questione vaticana prima 
                          e dopo il fascismo 
                          Anche la questione vaticana, ovviamente, è legata 
                          alla politica estera. Ma nella sua 
                          reimpostazione piuttosto che il richiamo di tradizioni 
                          utili, che non c’erano, prevalgono considerazioni 
                          derivanti dalla nuova collocazione del PCI come partito 
                          di 
                          governo, dal ruolo di Togliatti nel comunismo internazionale 
                          e dalla percezione 
                          dei mutamenti che cominciavano a interessare la Chiesa 
                          stessa. 
                          Nelle Tesi di Lione la questione vaticana, insieme alla 
                          questione meridionale, 
                          costituiva una specificazione della «questione 
                          contadina»??. Gramsci inquadrava 
                          l’unità d’Italia nel «nesso 
                          storico europeo», nel quale il Vaticano era stato 
                           
                          Gentiloni e della condanna del Modernismo, ancora inconciliata 
                          con il liberalismo 
                          e la democrazia??. Tuttavia, affinatasi nelle prove 
                          della Grande Guerra e dell’avvento del fascismo, 
                          la riflessione di Gramsci era stata attirata sia dalla 
                          nascita del Partito popolare, sia dal suo precoce sacrificio 
                          al fascismo, diversamente da quanto avveniva oltralpe 
                          nei rapporti fra il Vaticano e l’Action française??. 
                          Nel ???? Togliatti aveva dedicato uno scritto importante 
                          alla Fine della “questione 
                          romana”, nel quale concludeva che la Chiesa, al 
                          pari di «tutti gli strati della 
                          borghesia italiana», «era irresistibilmente 
                          tratta ad unirsi al fascismo» per difendere 
                          la società capitalistica. Tuttavia, egli non 
                          negava che il Concordato fosse 
                          uno strumento valido, in via di principio, per superare 
                          l’opposizione vaticana 
                          allo Stato unitario; né mancava di avvertire 
                          che la collaborazione con il fascismo 
                          avrebbe potuto essere «scontata dalla Chiesa con 
                          una ribellione di masse 
                          » di tipo ereticale e scismatico. Infine, presagiva 
                          che «nel campo internazionale 
                          » il fascismo non ne avrebbe tratto vantaggi «esageratamente 
                          grandi, né di 
                          lunga durata», perché la Chiesa si sarebbe 
                          ben guardata «dal perdere quel carattere di universalità 
                          che è la migliore garanzia della sua funzione 
                          controrivoluzionaria nel mondo intiero». Sebbene, 
                          incalzata dalla modernità, fosse obbligata a 
                          rimodulare il suo ruolo e i suoi obiettivi, «per 
                          la sua stessa struttura organica, per tutte le posizioni 
                          ideali che essa difende e per lo scopo ultimo cui mira 
                          tutta la sua attività», proseguiva Togliatti, 
                          la Chiesa restava «la potenza più 
                          “antidemocratica” del mondo»??. Quando 
                          egli rientrò in Italia il mondo era cambiato. 
                          Il Vaticano aveva avuto un ruolo attivo nella caduta 
                          di Mussolini e nell’indurre il governo Badoglio 
                          all’armistizio ??; nel radiomessaggio del Natale 
                          ???? Pio XII aveva iniziato il riorientamento della 
                          Chiesa verso la democrazia ?? e il Vaticano era schierato 
                          con la Grande Alleanza antifascista. Stalin aveva interrotto 
                          le persecuzioni religiose, realizzato una solida alleanza 
                          con la Chiesa ortodossa (risorsa essenziale della guerra 
                          patriottica) e manifestato la volontà di riconoscere 
                          la libertà religiosa??. Il ?? luglio ???? Togliatti 
                          incontrò riservatamente monsignor Montini, segretario 
                          di Stato provvisorio, e i loro contatti proseguirono 
                          almeno fino alla fine del gennaio ???? avendo a oggetto 
                          gli interessi della Chiesa sia in URSS e in paesi importanti 
                          nei quali essa si era insediata, come la Polonia, sia 
                          in Italia, dove il PCI appariva una garanzia per i futuri 
                          assetti democratici. In quel momento al Vaticano Togliatti 
                          interessava tanto come tramite con Mosca, quanto come 
                          leader politico che aveva evitato all’Italia la 
                          «prospettiva greca»??. Com’è 
                          noto, Togliatti avviò un dialogo di ampio respiro 
                          con il mondo cattolico, i cui cardini erano l’apertura 
                          del partito ai cittadini di qualunque confessione religiosa 
                          e la ricerca di un «patto di unità d’azione» 
                          anche con la DC, basato sul programma di governo dei 
                          partiti antifascisti ??. Questa strategia culminò 
                          nel rapporto al V Congresso, nel quale Togliatti riconosceva 
                          il valore dei Patti Lateranensi poiché avevano 
                          dato una «soluzione definitiva alla questione 
                          romana» e sul Concordato aggiungeva: «Questo 
                          è per noi uno strumento di carattere internazionale 
                          oltreché nazionale, e comprendiamo benissimo 
                          che non potrebbe essere riveduto se non per interesse 
                          bilaterale, salvo violazioni che portino una parte o 
                          l’altra a denunciarlo»??. Si trattava di 
                          una questione basilare per lo Stato italiano, sulla 
                          quale il PCI non avrebbe mutato avviso con il mutare 
                          della sua collocazione e quando la DC propose di inserire 
                          il Concordato nella Costituzione esso, unico fra i partiti 
                          di sinistra, votò l’art. ? per evitare 
                          – affermava Togliatti – gravi minacce alla 
                          pace religiosa. In seguito egli difese con forza quella 
                          scelta perché era coerente con la «politica 
                          di unità nazionale», perché la collaborazione 
                          fra le masse comuniste, socialiste e cattoliche era 
                          la base delle lotte per l’attuazione della Costituzione 
                          e perché dopo il ?? aprile ???? il Concordato 
                          aveva costituito persino un argine contro l’invadenza 
                          clericale nella vita della società e dello Stato??. 
                          È degno di nota che Togliatti informò 
                          preventivamente il Vaticano del voto favorevole all’art. 
                          ?, il che prova che i contatti proseguivano malgrado 
                          l’inizio della guerra fredda??. 
                          Come dimostra anche il caso della ratifica del trattato 
                          di pace, che il PCI favorì 
                          poco dopo con la sua astensione quando era ormai fuori 
                          dal governo??, i mutamenti intervenuti nella sua cultura 
                          politica erano profondi ed è difficile spiegarli 
                          senza risalire alla percezione delle novità originate 
                          dalla guerra e alle revisioni in tema di dottrina della 
                          guerra e concezione della democrazia a cui Togliatti 
                          aveva atteso nel ventennio precedente. 
                          Fra le maggiori novità Togliatti, caso raro fra 
                          gli uomini politici del tempo, 
                          percepì che l’invenzione della bomba atomica 
                          mutava il carattere della guerra??. 
                          Pertanto riteneva che l’avvento dell’era 
                          atomica avrebbe inciso profondamente 
                          anche sulla cultura, la collocazione e il ruolo della 
                          Chiesa nel mondo. Quindi, anche 
                          negli anni più aspri della guerra fredda e della 
                          scomunica non rinunciò a proporre 
                          un dialogo con le masse cattoliche in difesa della pace 
                          e nel ????, collegandosi 
                          alla proposta sovietica di una conferenza europea per 
                          la sicurezza collettiva, 
                          cercò di riaprire il dialogo anche con il Vaticano??. 
                          Infine, quando giunse la distensione, ebbe un ruolo 
                          attivo nella preparazione dell’incontro fra papa 
                          Giovanni 
                          XXIII e il genero di Chru&cëv Alexei Adjubej, 
                          direttore dell’“Izvestija”, che 
                          rappresentò il segnale più vistoso del 
                          dialogo avviatosi fra il Vaticano e Mosca??. 
                          Ma forse ancora più importante è la percezione 
                          della portata storica del Concilio 
                          Vaticano II, col quale, scrisse Togliatti, la Chiesa 
                          poneva fine all’«età costantiniana 
                          » e cessava di essere il baluardo della società 
                          capitalistica??. Quelle analisi e 
                          la persuasione sempre più convinta che il mutamento 
                          della natura della guerra 
                          imponesse un mutamento della concezione della politica, 
                          originarono le innovazioni 
                          più rilevanti della cultura politica del PCI: 
                          l’approdo a una valutazione positiva 
                          del «fenomeno religioso»?? e l’idea 
                          della collaborazione fra credenti e non 
                          credenti per prevenire i pericoli di una guerra e affrontare 
                          insieme le nuove sfide 
                          globali in nome della «comune umanità»??. 
                           
                          Il fascismo come problema storico 
                          Togliatti elevò l’antifascismo a «dottrina 
                          del rinnovamento della nazione italiana», 
                          il cui cardine era l’instaurazione di una «democrazia 
                          progressiva»??. Essa consisteva 
                          in un regime parlamentare basato sul ruolo eminente 
                          dei partiti, la collaborazione 
                          fra i partiti antifascisti al governo, una Costituzione 
                          «programmatica» che 
                          sancisse l’economia mista, la possibilità 
                          di riforme di struttura e i diritti sociali di 
                          un Welfare avanzato??. Come si vede, sono indirizzi 
                          del tutto analoghi a quelli sui  
                          quali si basò la ricostruzione negli altri paesi 
                          dell’Europa occidentale. Contro l’ipotesi 
                          di un sistema rappresentativo basato sui CLN Togliatti 
                          optò per il modello 
                          parlamentare e in seguito anche per questo sottolineò 
                          che la «democrazia progressiva » era cosa 
                          diversa dalla «democrazia popolare» instaurata 
                          nei paesi dell’Europa centrale e orientale??. 
                          In Italia si poneva il problema di «estirpare 
                          le radici» non di un fascismo possibile, ma di 
                          un «fenomeno politico» storicamente sperimentato: 
                          un regime durato più di vent’anni, che 
                          aveva portato il paese alla catastrofe. La “giustificazione 
                          storica” della politica di unità nazionale 
                          poggiava quindi sull’analisi del fascismo. Rispetto 
                          agli sviluppi che Togliatti le aveva dato negli anni 
                          Venti e Trenta??, l’accento cadeva ora sulle origini, 
                          piuttosto che sul “regime”, e tendeva a 
                          sottolinearne la funzione conservatrice sfocando l’attenzione 
                          sui suoi aspetti di modernità. 
                          Se ne capisce il perché: la modernizzazione dell’Italia 
                          prevista dal “programma 
                          dell’antifascismo” era antitetica alle modernizzazioni 
                          del fascismo: prevedeva 
                          la liquidazione del regime di bassi salari e di bassi 
                          consumi che costituiva il 
                          tratto distintivo del capitalismo italiano?? e il ribaltamento 
                          del «regime autoritario 
                          di massa»?? in una democrazia intensamente partecipata, 
                          basata sulla mobilitazione sociale e sui partiti di 
                          massa. Nel ribadire, quindi, il concetto basilare delle 
                          Tesi di Lione, cioè che per spiegare «nascita 
                          e avvento» del fascismo si doveva «risalire 
                          alla struttura stessa della società e dello Stato 
                          italiano», Togliatti spingeva lo sguardo molto 
                          più indietro del Risorgimento: sulla scia dei 
                          Quaderni del carcere, riandava ai limiti economico-corporativi 
                          del protocapitalismo italiano, ricordava la crisi del 
                          Seicento, sottolineava come l’Italia fosse rimasta 
                          quasi del tutto estranea al secolo dei Lumi e nell’Ottocento 
                          fosse stata un «paese arrivato alla restaurazione 
                          senza avere avuto una vera e propria rivoluzione». 
                          L’unificazione nazionale si era basata su un «blocco 
                          industriale-agrario» nel quale l’elemento 
                          industriale era debole, ristretto e permanentemente 
                          condizionato da un elemento agrario semifeudale??. Ancor 
                          più degno di nota, però, è che 
                          a questa storia Togliatti facesse risalire un carattere 
                          originario dell’«intelligenza italiana», 
                          alla quale attribuiva un ruolo decisivo nel fatto che, 
                          nei momenti topici di crisi e di svolta del fascismo, 
                          l’intera nazione avesse fatto blocco con esso??. 
                          Anche questo filone di ricerca derivava dai Quaderni 
                          e originava un’innovazione significativa nell’analisi 
                          togliattiana del fascismo poiché ne ampliava 
                          la ricognizione dei rapporti con la cultura italiana 
                          e nell’agenda politica comportava un’attenzione 
                          particolare alla «quistione politica degli intellettuali 
                          ». Il tema è di grande rilievo poiché 
                          segnala un aspetto del «partito nuovo», 
                          al quale finora gli studi non hanno dato adeguata attenzione. 
                          L’obiettivo di Togliatti non era solo quello di 
                          creare un partito comunista di massa, ma anche di mutare, 
                          attraverso la sua azione, i rapporti fra gli intellettuali 
                          e il popolo-nazione. La “politica culturale” 
                          ha una densità e un tratto specifico nella visone 
                          togliattiana del partito poiché ne delimita le 
                          capacità di direzione politica: non si può 
                          assolvere una “funzione nazionale” senza 
                          avere una grande influenza sulla cultura del paese. 
                          Ma non possiamo approfondire qui questo problema. Tornando 
                          ai temi di 
                          questo paragrafo, Togliatti pose al centro delle sue 
                          analisi la crisi della cultura italiana fra Ottocento 
                          e Novecento e su di essa tornò ripetutamente 
                          fino alla fine dei suoi giorni. Quanto al fascismo, 
                          se, nella riflessione postbellica, la ricchezza delle 
                          analisi del «regime reazionario di massa» 
                          appare affievolita, tuttavia essa ispirò la politica 
                          di «pacificazione nazionale» di Togliatti 
                          ??. Inoltre, essa era palesemente sullo sfondo dell’autocritica 
                          che egli pronunciò nel ???? per non aver saputo 
                          accostare le nuove generazioni fasciste e recepirne 
                          i fermenti ideali e le nuove sensibilità, con 
                          grave danno per la capacità dei comunisti di 
                          lottare contro il 
                          fascismo prima e per la costruzione del «partito 
                          nuovo» dopo la sua caduta??. Il 
                          tema del consenso al fascismo fu posto invece come problema 
                          cruciale della ricerca 
                          storica negli ultimi anni della sua vita, in una stagione 
                          della politica italiana 
                          profondamente mutata, nella quale Togliatti, come diremo, 
                          non pensava più 
                          all’unità antifascista come prospettiva 
                          di governo ??. Palesemente insoddisfatto 
                          per lo stato degli studi, egli promosse attraverso l’Istituto 
                          Gramsci un convegno 
                          storico sul fascismo di notevoli ambizioni, impegnandosi 
                          a svolgere lui stesso una 
                          relazione dedicata all’analisi e al dibattito 
                          del Comintern sul fascismo; ma il convegno non si poté 
                          realizzare perché egli non riuscì a preparare 
                          la sua relazione??. 
                           
                          La crisi della cultura italiana fra Ottocento 
                          e Novecento 
                          Com’è noto, la principale risorsa intellettuale 
                          della politica culturale di Togliatti fu 
                          la pubblicazione degli scritti di Antonio Gramsci. Ad 
                          essa egli affiancò un’opera 
                          costante di lettura e interpretazione condizionata dall’evolvere 
                          della lotta politica 
                          in Italia e dalle vicende del comunismo internazionale??. 
                          Il pensiero di Gramsci agì 
                          come chiave di lettura della crisi della cultura italiana 
                          fra Ottocento e Novecento, 
                          e al tempo stesso come reagente della sua risoluzione. 
                          La «questione» degli intellettuali aveva 
                          un rilievo così grande nella politica di Togliatti 
                          poiché egli condivideva il pensiero di Gramsci 
                          che, fin dagli anni Venti, «riconosceva» 
                          in loro «il tessuto connettivo della società 
                          italiana attraverso i secoli»??. Essi dunque avevano 
                          avuto e continuavano ad avere un ruolo determinante 
                          nell’unificazione della nazione e nella vita dello 
                          Stato. L’interpretazione della crisi culturale 
                          che aveva favorito l’avvento del fascismo venne 
                          proposta in modo definitivo nel discorso dedicato a 
                          Gramsci Pensatore e uomo d’azione il ?? aprile 
                          ???? nell’aula magna dell’Università 
                          di Torino. Se le correnti ideali prevalenti nella prima 
                          metà dell’Ottocento avevano fatto lega 
                          con «i principi, la chiesa e i proprietari feudali» 
                          per «limitare le ripercussioni in Italia della 
                          Rivoluzione francese»??, la cultura positivistica 
                          che aveva preso il sopravvento dopo l’unità 
                          aveva avuto una funzione benefica fornendo l’humus 
                          al primo socialismo italiano, ma al tempo stesso ne 
                          aveva segnato la debolezza: l’evoluzionismo, il 
                          fatalismo e l’incapacità di elaborare una 
                          propria visione della storia d’Italia e una concezione 
                          soggettivistica della politica e della storia. 
                          Il socialismo italiano aveva avuto un ruolo decisivo 
                          nel promuovere l’unità della 
                          nazione e la cultura positivistica era stata un tramite 
                          essenziale fra intellettuali e popolo. 
                          Ma il movimento socialista non aveva avuto pensatori 
                          di rilievo e Antonio 
                          Labriola, il suo unico intellettuale europeo, ne era 
                          rimasto ai margini come una figura isolata. Onde il 
                          socialismo non era riuscito a elaborare un programma 
                          di rinnovamento e di riforma della nazione italiana. 
                          La rinascita idealistica aveva avuto un ruolo progressivo 
                          nel provocare la dissoluzione del positivismo: aveva 
                          promosso una visione “energica”, laica e 
                          immanentistica della realtà e della storia. Ma 
                          il suo obiettivo principale era stato quello di sbarrare 
                          la strada al marxismo, espungendo Labriola dal movimento 
                          del pensiero italiano del secondo Ottocento come un 
                          corpo estraneo. Perciò la crisi del positivismo 
                          aveva creato un vuoto nei rapporti fra gli intellettuali 
                          e le masse popolari, nel quale avevano fatto irruzione 
                          le 
                          correnti più congeniali al nazionalismo e al 
                          nascente imperialismo italiano: vitalismo, irrazionalismo, 
                          filosofie dell’azione. Così era stata incapsulata 
                          e travolta anche quella scuola “economico-giuridica” 
                          che aveva dato vita a un indirizzo di studi storici 
                          e sociali molto promettenti, ai quali aveva attinto 
                          il giovane Gramsci. Nel complesso la riforma dell’hegelismo 
                          di fine Ottocento aveva avuto dunque un segno di conservazione 
                          e di reazione; e se dinanzi ai suoi sviluppi estremi 
                          e indesiderati Croce si era tirato indietro cercando 
                          di farvi argine, durante il fascismo la sua voce autorevole 
                          non aveva costituito molto più che una testimonianza. 
                          Col fascismo, invece, aveva fatto lega Gentile, condividendone 
                          fino all’ultimo il destino. 
                          Alla caduta del fascismo Croce e Gentile si stagliavano 
                          ancora come le figure 
                          dominanti della cultura italiana e della sua crisi. 
                          I Quaderni del carcere prefiguravano quindi una riforma 
                          dei suoi indirizzi che – secondo quanto Gramsci 
                          stesso aveva scritto – doveva costituire sia un 
                          «anti-Croce», sia un «anti-Gentile 
                          ». Si trattava di rifare con l’idealismo 
                          italiano l’operazione che Marx aveva fatto 
                          con la filosofia di Hegel. Essa non poteva prendere 
                          le mosse da Croce e da Gentile, ma dalle correnti del 
                          liberalismo rivoluzionario del Risorgimento; quindi, 
                          da De Sanctis e da Spaventa. 
                          Già nella conferenza pisana del ???? Togliatti 
                          aveva indicato in Bertrando 
                          Spaventa «il più grande filosofo [italiano] 
                          del secolo passato» e nel suo scritto 
                          sulle prime categorie della logica di Hegel l’appiglio 
                          di una riforma della dialettica 
                          hegeliana, che aprisse la strada alla filosofia della 
                          praxis??. Ma una genealogia 
                          del marxismo in Italia non era stata ancora tentata 
                          e Togliatti vi si applicò egli 
                          stesso nel saggio dedicato ad Antonio Labriola nel ??????. 
                          In esso sottolineava 
                          l’ambivalenza della filosofia di Spaventa, aperta 
                          a uno sviluppo in direzione sia 
                          dell’attualismo, sia della filosofia della praxis, 
                          ma considerava coerente con l’indirizzo del suo 
                          pensiero solo quest’ultima e ad essa collegava 
                          il cammino percorso da Labriola, mentre considerava 
                          la riforma attualistica un travisamento. Ma in questa 
                          sede conta di più sottolineare che in quel saggio 
                          Togliatti rendeva esplicito il debito del suo programma 
                          di ricerca con il modo in cui Spaventa aveva impostato 
                          il tema della «circolazione europea della filosofia 
                          italiana del Rinascimento ». Bertrando Spaventa 
                          aveva elaborato il suo programma scientifico per fare 
                          della penetrazione di Hegel la base di un’egemonia 
                          culturale che cementasse l’unità della 
                          nazione ??, ma dinanzi alla prospettiva della filosofia 
                          della praxis si era arrestato. L’importanza di 
                          Labriola nella cultura italiana del secondo Ottocento 
                          stava quindi nel fatto che con lui quel passaggio era 
                          avvenuto e, con lo sviluppo che Gramsci aveva dato al 
                          marxismo, erano poste le basi di una nuova egemonia, 
                          promotrice di una unità della nazione diversa 
                          e più piena: un’egemonia 
                          culturale che mirava a mettere fine alla frattura fra 
                          intellettuali e popolo??. 
                          Il rinnovamento e l’apertura della cultura italiana 
                          alla cultura internazionale 
                          seguirono vie diverse da quelle auspicate da Togliatti. 
                          Negli ultimi anni della sua 
                          vita, quindi, egli pensò a un nuovo progetto, 
                          che esordisse dall’elaborazione teorica 
                          e dalla generalizzazione dell’esperienza ormai 
                          quarantennale del PCI??. Ma il movimento comunista internazionale 
                          era ormai in crisi e Togliatti lo percepiva acutamente 
                          ??. D’altronde, a chi si sarebbe potuto affidare 
                          un compito di tanta mole? 
                           
                          Un capitalismo di bassi salari e bassi consumi 
                          Col passare del tempo la «politica di unità 
                          nazionale», la Resistenza e la guerra di 
                          liberazione divennero oggetto di riflessione storica 
                          e da esse Togliatti partì nel formulare i suoi 
                          giudizi sui primi due decenni della democrazia repubblicana. 
                          Alla 
                          “politica di Salerno” egli attribuiva il 
                          merito della rinascita del paese: non solo per-  
                          ché aveva evitato la “prospettiva greca”, 
                          ma anche perché, con l’ingresso dei partiti 
                          antifascisti, il governo Badoglio aveva unificato l’“Italia 
                          libera” e il Nord partigiano, 
                          ponendo le basi per un rapido sviluppo della Resistenza 
                          e l’esito vittorioso 
                          della guerra di liberazione. L’accantonamento 
                          della questione istituzionale era 
                          stata la premessa essenziale e l’aver posto la 
                          sua decisione nelle mani del popolo 
                          aveva costituito sia l’atto di nascita della democrazia 
                          postfascista, sia la via più efficace per giungere 
                          all’eliminazione di casa Savoia. L’enfasi 
                          con cui Togliatti giudicava i risultati della politica 
                          di Salerno era giustificata da considerazioni che mi 
                          sembra opportuno ricordare: quella politica era stata 
                          osteggiata, con intenti diversi, 
                          sia dalle truppe di occupazione britanniche, sia da 
                          quelle americane; aver 
                          raggiunto gli obiettivi prestabiliti era stato quindi 
                          un atto di recupero della dignità 
                          e dell’indipendenza nazionale. Essa aveva consentito 
                          all’Italia di guadagnare un 
                          trattamento diverso e migliore di quello che spettò 
                          alla Germania e al Giappone 
                          alla fine della guerra. Inoltre, la «democrazia 
                          progressiva», recepita dalla Costituzione, aveva 
                          avviato la sperimentazione di una nuova via di avanzata 
                          al socialismo basata su una democrazia parlamentare: 
                          la prima tentata in Europa occidentale (anche perché 
                          l’Italia era uscita per prima dalla guerra) e 
                          l’unica adatta a paesi capitalistici sviluppati 
                          di tradizione parlamentare consolidata. 
                          Per queste ragioni la guerra fredda e la fine dei governi 
                          di unità nazionale 
                          non avevano interrotto il processo costituente e, grazie 
                          alla collaborazione fra comunisti, socialisti, azionisti 
                          e sinistra democristiana, era stato possibile inserire 
                          nella Costituzione il programma di riforme economiche 
                          più avanzato d’Europa??. 
                          Per contro, grazie anche alla pressione delle truppe 
                          di occupazione, il programma 
                          riformatore della Resistenza era stato bloccato e la 
                          ricostruzione si era risolta 
                          in una «restaurazione dell’economia italiana 
                          com’era sotto il fascismo». 
                          Con tale giudizio Togliatti intendeva il ripristino 
                          del vecchio modello di sviluppo 
                          fondato su bassi salari e bassi consumi. Fra il ???? 
                          e il ???? l’ispiratore della 
                          politica economica di De Gasperi era stato Luigi Einaudi, 
                          fautore di un “liberismo 
                          dottrinario”. Questo aveva condizionato anche 
                          il piano delle riforme successive: 
                          una riforma agraria stentata, che lasciava in vita i 
                          vecchi patti agrari, e una 
                          regolazione discrezionale dell’economia pubblica 
                          che, malgrado la sua crescita 
                          impetuosa, ne ribadiva la funzione di puntello dell’accumulazione 
                          monopolistica 
                          privata e apriva la strada a un dilagante sistema di 
                          corruzione. 
                          L’Italia del primo decennio repubblicano era dunque 
                          il risultato d’una combinazione 
                          contraddittoria fra la continuità delle strutture 
                          economiche, rafforzata 
                          dalla continuità burocratica dello Stato centralistico, 
                          e la discontinuità del sistema 
                          politico, caratterizzato invece dallo sviluppo dei partiti 
                          di massa e dell’azione 
                          sindacale (le riforme avviate da De Gasperi nel ???? 
                          erano considerate una 
                          risposta al piano del lavoro della CGIL e alla mobilitazione 
                          sociale promossa dalle 
                          sinistre), sorretti dal radicamento dell’antifascismo 
                          fra strati sempre più ampi 
                          delle masse popolari. 
                          In questa visione s’inquadrava il giudizio sull’azione 
                          politica di De Gasperi. 
                          Della “restaurazione capitalistica” egli 
                          non era stato certo il solo responsabile. 
                          Tuttavia, Togliatti gli attribuiva la colpa di aver 
                          plasmato la DC come «partito 
                          di fiducia della borghesia» e di aver subito i 
                          condizionamenti della Chiesa pa- 
                          celliana e della destra cattolica (comitati civici, 
                          “operazione Sturzo”). Infine, gli 
                          addossava la responsabilità di aver reintrodotto, 
                          con l’anticomunismo, col «processo alla 
                          Resistenza» e con la repressione dei conflitti 
                          sociali, i metodi di governo tradizionali della borghesia 
                          italiana. Onde il paese era oppresso da una 
                          perdurante offensiva clericale e dal prevalere di umori 
                          reazionari nello spirito 
                          pubblico. Chiave di volta del suo sistema di governo 
                          era l’unità politica dei cattolici, 
                          decisa dal Vaticano ma fortemente voluta anche da De 
                          Gasperi poiché il consenso 
                          della DC era condizionato dal sostegno delle gerarchie 
                          ecclesiastiche. Ma 
                          in un paese caratterizzato da una forte polarizzazione 
                          sociale tanto sui temi della 
                          politica economica, quanto su quelli della politica 
                          internazionale, si generavano 
                          tensioni e fratture fra l’indirizzo politico dei 
                          governi centristi e le masse popolari: 
                          il “blocco” del ?? aprile si incrinava e 
                          De Gasperi tentò di mantenere «il 
                          monopolio politico della DC» con la legge maggioritaria 
                          del ????. Essa assegnava 
                          un premio di maggioranza così ampio che, in caso 
                          di vittoria, la DC avrebbe 
                          potuto cambiare la Costituzione unilateralmente. Togliatti 
                          ricorda che De Gasperi 
                          non volle accogliere proposte di negoziato sulla misura 
                          del premio di maggioranza 
                          lasciando così alle opposizioni l’opportunità 
                          di allargare le alleanze su 
                          un terreno a loro favorevole. Fu un errore fatale che 
                          portò alla sconfitta della 
                          “legge truffa” e alla fine politica del 
                          leader democristiano. Insomma, egli scrive, 
                          sebbene saldamente antifascista, De Gasperi aveva nello 
                          spirito e nella cultura i 
                          tratti del «notabile reazionario» e questo 
                          ne faceva il fautore di una democrazia 
                          ben più ristretta di quella disegnata nella Costituzione. 
                          Quest’ultima era rimasta 
                          «inapplicata» mentre De Gasperi aveva operato 
                          per realizzare una «democrazia 
                          protetta», costretta nel letto di Procuste della 
                          «strategia della dipendenza 
                          »?? sia dagli Stati Uniti d’America che 
                          dal Vaticano. Il giudizio di Togliatti sull’opera 
                          politica di De Gasperi non appare certo «equanime», 
                          come il titolo del 
                          saggio che gli dedicò nel primo anniversario 
                          della morte prometteva; ma non è 
                          questa la sede per sottoporre a critica storiografica 
                          le sue valutazioni. Gli si può 
                          riconoscere comunque il merito di aver interpretato 
                          la politica di De Gasperi alla 
                          luce dei problemi della storia d’Italia, senza 
                          enfatizzarne troppo il condizionamento 
                          internazionale??. 
                           
                          Le classi popolari dal Risorgimento alla Repubblica 
                          Togliatti percepì per tempo la crisi del centrismo 
                          e favorì la politica di movimento 
                          di Nenni in vista dell’“apertura a sinistra”??. 
                          Non si può dire, invece, che fosse 
                          avvertito di quanto avveniva nell’economia italiana, 
                          che sfociò nel “secondo miracolo economico” 
                          del ????-??. Il PCI dovette aggiornare in fretta la 
                          sua analisi e 
                          ne tirò le conclusioni agli inizi del centro-sinistra. 
                          Il mutamento era stato impo-  
                          riconobbe che stavano cambiando alcuni caratteri originari 
                          dell’economia italiana: 
                          È la prima volta nella storia del nostro paese, 
                          in tutta la storia della borghesia italiana, che essa 
                          è riuscita a raggiungere livelli di competitività 
                          internazionale e può quindi presentarsi nell’arena 
                          della concorrenza internazionale con posizioni, se non 
                          sempre di vantaggio, perlomeno di parità con 
                          le altre borghesie di struttura storicamente più 
                          forte??. 
                          Partendo da qui il PCI procedette a un rinnovamento 
                          programmatico il cui cardine 
                          era – come già nel ????-?? – un’economia 
                          di alti salari e alti consumi. Ma, a 
                          differenza di quindici anni prima, l’obiettivo 
                          sembrava più realistico. L’Italia era 
                          avviata verso la piena occupazione. La “programmazione 
                          democratica”, l’industrializzazione del 
                          Mezzogiorno, la riforma dei patti agrari, la riforma 
                          urbanistica, fiscale, della scuola e dell’università, 
                          la realizzazione dell’ordinamento regionale e 
                          di un Welfare moderno costituivano i punti di un programma 
                          condiviso da un arco di forze molto ampio. Esso comprendeva 
                          tutto il movimento sindacale, i 
                          comunisti, i socialisti, i socialdemocratici, i repubblicani 
                          e la sinistra cattolica. 
                          Con i due convegni di San Pellegrino e il congresso 
                          di Napoli (????, segretario 
                          Aldo Moro), quel programma venne assunto anche dalla 
                          DC e posto a base 
                          dell’«esperimento di centro-sinistra»??. 
                          Nascendo sul presupposto della «delimitazione 
                          della maggioranza a sinistra 
                          », secondo Togliatti la nuova formula politica 
                          poteva risolversi in una «manovra 
                          trasformistica» oppure «essere l’inizio 
                          di un rinnovamento» destinato a 
                          sfociare in «una svolta a sinistra della politica 
                          nazionale»: molto dipendeva dall’iniziativa 
                          del PCI e ancor di più dall’azione delle 
                          masse popolari che condividevano il programma del centro-sinistra??. 
                          Sul piano parlamentare il PCI decise quindi di esercitare 
                          un’opposizione «di tipo particolare»: 
                          la nazionalizzazione 
                          dell’energia elettrica venne approvata con il 
                          suo voto determinante ??. Nella mobilitazione di massa 
                          esso faceva leva sulle rivendicazioni operaie, che ormai 
                          andavano oltre il salario e si estendevano all’organizzazione 
                          del lavoro, al potere 
                          sindacale in fabbrica e alle riforme sociali. Nell’iniziativa 
                          politica Togliatti mirò 
                          a rafforzare l’unità tra le forze che condividevano 
                          il programma riformatore 
                          enunciando con chiarezza i suoi obiettivi: innanzitutto, 
                          egli affermava, quel 
                          complesso di forze era lo stesso che con la sua unità 
                          aveva consentito di elaborare 
                          la parte più avanzata della Costituzione riguardante 
                          la programmazione 
                          economica e i diritti sociali; in secondo luogo, ci 
                          si poteva rifare al precedente 
                          storico significativo che quella unità non era 
                          venuta meno ma aveva continuato 
                          a operare anche dopo che le sinistre erano state estromesse 
                          dal governo, fino al 
                          ????. Ad ogni modo, ora il PCI non mirava più 
                          alla formazione di governi di unità 
                          antifascista, poiché non si trattava di «distruggere 
                          le radici del fascismo», ma di 
                          realizzare riforme di struttura di un capitalismo ormai 
                          avanzato, maturo per l’introduzione di «elementi 
                          di socialismo». Non era pensabile, quindi, realizzare 
                          quel programma senza scalzare «il monopolio politico 
                          della DC»: vale a dire determinando un mutamento 
                          di equilibri politici e sociali così ampio e 
                          profondo 
                          da mettere in crisi l’unità politica dei 
                          cattolici ??. 
                          Questa prospettiva si basava su una visione dei primi 
                          due decenni dell’Italia 
                          repubblicana, secondo la quale nel ????-?? il moto riformatore 
                          avviato dalla Resistenza era stato interrotto, ma non 
                          vinto, grazie soprattutto al PCI che nel quindicennio 
                          successivo aveva diretto l’azione delle classi 
                          popolari in modo tale che 
                          non smarrissero la funzione nazionale e la capacità 
                          di iniziativa sui temi essenziali 
                          dello sviluppo democratico del paese, conquistate nella 
                          Resistenza e nella fase costituente della Repubblica: 
                          Sono venti anni – scriveva Togliatti nell’editoriale 
                          del primo numero di “Rinascita” settimanale 
                          – che si combatte, in Italia. Vent’anni 
                          che due forze avverse, l’una di progresso e rivoluzione, 
                          l’altra di conservazione e reazione, si affrontano 
                          e misurano in un conflitto che ha avuto le più 
                          diverse fasi, nessuna delle quali, però, si è 
                          conclusa in modo tale che potesse significare il sopravvento 
                          definitivo dell’uno o dell’altro dei contendenti 
                          [...]. Il gigante 
                          dell’energia popolare non ha potuto essere messo 
                          a terra [perché le classi popolari] sono diventate, 
                          in un momento decisivo della storia nazionale e della 
                          vita dello Stato italiano, protagoniste di questa vita 
                          e di questa storia. Sono le classi popolari che hanno 
                          fondato lo Stato italiano odierno. Esse e non il vecchio 
                          ceto dirigente e privilegiato, hanno organizzato e diretto 
                          la Resistenza, la guerra di liberazione, la conquista 
                          di un regime di democrazia e di progresso. Da questo 
                          dato di fatto parte e sopra esso si fonda tutta la situazione 
                          del nostro paese. Ed è un dato che non muta, 
                          che conserva tutto il suo valore, nonostante 
                          le trasformazioni profonde che la situazione subisce??. 
                          Retrospettivamente, queste valutazioni presupponevano 
                          un raffronto fra la Resistenza e il Risorgimento, al 
                          quale Togliatti applicava la categoria gramsciana di 
                          «rivoluzione passiva». L’occasione 
                          gli era stata fornita dalla conferenza tenuta a 
                          Torino, in un ciclo di lezioni intitolato Il Risorgimento 
                          e noi. Nella sua conferenza, 
                          dal titolo Le classi popolari nel Risorgimento, Togliatti 
                          svolse un’ampia argomentazione contro la tesi 
                          storiografica di Rosario Romeo che attribuiva a Gramsci 
                          l’interpretazione del Risorgimento come «rivoluzione 
                          agraria mancata»??. Il 
                          discorso di Togliatti si concludeva accogliendo il parallelo 
                          fra il Risorgimento e 
                          la Resistenza, ma, a proposito della definizione di 
                          questa come «secondo Risorgimento», puntualizzava 
                          che, più che una reiterazione, la Resistenza 
                          aveva rappresentato una «correzione» del 
                          Risorgimento poiché con essa, per la prima volta 
                          nella storia d’Italia, le classi popolari avevano 
                          assunto un ruolo predominante 
                          nella fondazione e nella vita del nuovo Stato. 
                          I temi affrontati dal centro-sinistra interessavano 
                          tutte le forze politiche rappresentative del movimento 
                          operaio e avrebbero dovuto vedere la loro partecipazione 
                          solidale al governo del paese. Nel IX e X Congresso 
                          del partito Togliatti riprendeva, perciò, sia 
                          pure con molta cautela, il tema del «partito unico» 
                          fra comunisti e socialisti, che aveva costituito oggetto 
                          di una relazione specifica di Longo al V Congresso. 
                          Il tema era ripreso anche come antidoto a una possibile 
                          rottura totale dei rapporti unitari fra comunisti e 
                          socialisti (nel sindacato, nei “comuni rossi”, 
                          nella Lega delle cooperative) e contraltare alle pressioni 
                          del PSDI, dei repubblicani e della DC che ne sollecitavano 
                          la «deriva centrista». Esso aveva dunque 
                          una funzione eminentemente tattica poiché il 
                          progetto del partito unico, se 
                          fosse stato realizzato, avrebbe significato prima o 
                          poi l’assorbimento del PCI in un 
                          partito socialdemocratico ed è dubbio che Togliatti 
                          ritenesse questa prospettiva 
                          auspicabile o soltanto possibile. Ad ogni modo, va annotato 
                          che il tema non venne 
                          ignorato. 
                          Inoltre, riprendeva il confronto fra comunismo e riformismo 
                          insistendo, come 
                          nel ????-????, sul concetto che il nodo della discussione 
                          non riguardava il gradualismo o la via parlamentare, 
                          metodo e prospettiva condivisi da entrambi, bensì 
                          la concatenazione delle riforme “parziali” 
                          in un unico disegno e in un unico 
                          processo di riforme della società e dello Stato??. 
                          Spingendosi ancora più innanzi 
                          nel confronto, egli quindi esplicitava i presupposti 
                          riformistici della «via italiana 
                          al socialismo»; e nel rapporto al X Congresso 
                          chiariva che la prospettiva prescelta 
                          dal PCI era quella del socialismo processo: È 
                          evidente che nell’accettare questa prospettiva, 
                          che è quella dell’avanzata verso il socialismo 
                          nella democrazia e nella pace, noi introduciamo il concetto 
                          di uno sviluppo graduale, nel quale è assai difficile 
                          dire quando, precisamente, abbia luogo il mutamento 
                          di qualità ??. 
                          Ovviamente un’evoluzione riformistica del quadro 
                          politico ed economico italiano 
                          non dipendeva solo dal PCI, ma soprattutto dalla disponibilità 
                          delle classi 
                          dirigenti a riconoscere la legittimità del movimento 
                          operaio come forza di governo, 
                          e questa possibilità, che nella storia d’Italia 
                          non si era mai data, non veniva 
                          presa in considerazione neppure allora. Com’è 
                          noto, prendendo a pretesto 
                          una non grave inversione del ciclo economico internazionale, 
                          agli inizi del ???? 
                          il ministro del Tesoro e la Banca d’Italia misero 
                          l’alt al programma riformatore 
                          del centro-sinistra, condannando la formula politica 
                          al fallimento. Il modello di 
                          sviluppo fondato sui bassi salari e i bassi consumi 
                          doveva essere preservato; i caratteri originari del 
                          capitalismo italiano non ammettevano “riforme 
                          di struttura”. 
                          L’ultimo editoriale di “Rinascita” 
                          conclude, quindi, la riflessione di Togliatti 
                          sulla storia d’Italia proprio su questo nodo, 
                          lasciando aperti interrogativi di fondo 
                          quanto mai dilemmatici: In quale misura i gruppi dirigenti 
                          della grande borghesia italiana, industriale e agraria 
                          sono disposti ad accogliere anche solo un complesso 
                          di modeste misure di riformismo borghese? 
                          In quale misura, cioè, è possibile, in 
                          Italia, un riformismo borghese? Invitiamo gli 
                          studiosi di storia e di economia ad approfondire questa 
                          questione, che è di decisiva importanza non tanto 
                          per giudicare il passato quanto per tracciare le linee 
                          di una prospettiva. 
                          La questione è strettamente collegata a quella 
                          delle sorti di un partito socialdemocratico, che in 
                          Italia non è mai riuscito ad avere la stessa 
                          parte che in altri paesi europei, e degli altri partiti 
                          di lavoratori.   |