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ANNALE IV
Guida agli archivi della Fondazione Istituto Gramsci di Roma
a cura di Linda Giuva
Roma, Editori Riuniti, 1994

p. 289, L. 40.000
ISBN 978-88-359-3891-0

Introduzione
di Linda Giuva

La formazione del settore archivi della Fondazione Istituto Gramsci è al momento dell'istituzione della Fondazione stessa. Essa è legata alle vicende dell'archivio del Pci e all'atteggiamento politico e culturale maturato verso la propria memoria scritta da parte del gruppo dirigente comunista.
Sin dal primo progetto approvato dalla segreteria del Pci nell'ottobre del 1948 – due anni prima della costituzione dell'Istituto – tra gli scopi della Fondazione era indicato quello del recupero della documentazione archivistica relativa al movimento operaio italiano conservato a Mosca presso l'Istituto Marx-Engels-Lenin-Stalin. La formulazione di tale obiettivo era generica e non si faceva alcun esplicito riferimento all'archivio del Pcd'I che si trovava lì depositato, ma il dato più rilevante da cogliere è che nella carta d'intenti fondativa la formazione di un settore che si occupasse del recupero e della conservazione di documentazione archivistica aveva un posto di dignità pari a quello degli altri settori e campi d'intervento della Fondazione. In realtà nel corso degli anni cinquanta, da Mosca non provenne nulla. L’attività di conservazione si concentrò sul periodo della Resistenza e fu rivolta a reperire e versare presso la sede dell'Istituto le carte delle Brigate Garibaldi, della Direzione Nord del Pci e ad avviare il lavoro di recupero delle carte di Antonio Gramsci. Parallelamente a quest’azione, la Fondazione, insieme alla segreteria del Pci, lanciò un appello alle organizzazioni periferiche affinché si impegnassero nella raccolta di fonti documentarie da affidare alla Fondazione. lnterlocutori privilegiati dovevano essere i vecchi militanti, comunisti, socialisti, anarchici, che conservavano materiali salvati dalle persecuzioni e devastazioni fasciste. L’appello al recupero di tale documentazione avvenne a ridosso della decisione di istituire una commissione per definire un progetto di storia del Pci, ma esso andava al di là di questa circostanza, pur abbastanza significativa. Esso riproponeva quello che è un aspetto costante e costitutivo della tradizione del comunismo italiano vale a dire la centralità della memoria storica nella costruzione dell'identità politica.
Nell'obiettivo di costituire un centro, identificato con la Fondazione, ove fosse possibile raccogliere, conservare, mettere a disposizione degli studiosi tale materiale «prezioso per la storia del movimento operaio, per la storia del partito, per la storia stessa d'Italia», è possibile individuare, inoltre, quelli che furono i punti intorno ai quali avrebbe ruotato negli anni successivi il dibattito storiografico di ispirazione marxista: nesso tra storia del movimento operaio e storia d'Italia, importanza del lavoro filologico e quindi della base documentaria nella ricerca storica, problema dell'accesso alle fonti vale a dire della consultabilità dei documenti di partito.
Sin dalla costituzione, quindi, si delinea quella che sarà, dal punto di vista organizzativo, una caratteristica del settore archivi della Fondazione: il suo essere, da una parte, luogo di concentrazione di archivi veri e propri, dall'altra, centro di raccolta di documentazione di varia provenienza.
Gli anni sessanta rappresentano un salto di qualità. Ancora una volta l'occasione fu fornita dai lavori di una commissione costituita per celebrare il 40° anniversario della fondazione del Pci. Nella definizione del programma delle iniziative, tutte rivolte a ripercorrere le tappe più significative della storia del partito, si affermava la necessità di fare riferimento a un corpus documentario più preciso e circoscritto. Per la prima volta si usciva dai generici appelli per la raccolta di fonti e si parlava di archivio di partito. In particolare, nella riunione dei responsabili delle riviste chiamate a elaborare i progetti editoriali relativi alla celebrazione dell'anniversario, svoltasi il 15 dicembre 1960, si chiedeva «un centro di raccolta del materiale fino al 1926; [ ... ] un'indagine a Mosca, presso l'archivio del Pci, per vedere cosa c'è; una raccolta del materiale dal dopoguerra a oggi. L’indicazione emersa in tale occasione venne fatta propria dalla segreteria del partito che il 28 febbraio 1961 decise di incaricare Franco Ferri, allora direttore dell’Istituto Gramsci, e Luigi Amadesi «per un primo lavoro sull'archivio a Mosca». Il lavoro durò più anni e si concluse con il ritorno in Italia, seppure in copia, di quella parte dell'archivio del Pcd'I che, durante gli anni Venti e Trenta, era confluita a Mosca nell'archivio della Terza internazionale. Un ruolo decisivo in tale operazione venne svolto da Togliatti il quale, nel 1960, pubblicò per la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli documenti relativi alla formazione del gruppo dirigente comunista tra il 1923 e il 1924 provenienti dall'archivio del Pcd'I conservato a Mosca (oltre che dall'archivio Tasca conservato presso la Feltrinelli), fornendo, in tal modo, l’input per l'avvio di una storia del partito fondata su solide base documentarie.
La seconda metà degli anni Settanta segnò un'altra tappa significativa del processo che ha portato alla formazione del nucleo relativo all'archivio del Pci presso la Fondazione Istituto Gramsci. Il problema non era più l'archivio del Pcd'I, ampiamente consultato e utilizzato dagli storici, ma quello del secondo dopoguerra, conservato presso la sede di Botteghe oscure. Qui, alla fine degli anni Sessanta, si era avviata l'organizzazione di un vero e proprio archivio stabilendo un titolario per l'archivio corrente e la definizione di un progetto per l'ordinamento di quello storico. Dal dibattito sviluppatosi durante la seduta della direzione del partito del 10-11 gennaio 1974, e dalle decisioni prese dalla stessa, si traggono alcune importanti informazioni. Innanzitutto si registra uno spostamento dell'attenzione verso il secondo dopoguerra che darà luogo, successivamente, al versamento presso la Fondazione di un intero fondo, le Federazioni. Inoltre, dopo aver stabilito alcune regole per la consultazione, venne lanciato un appello ai dirigenti comunisti affinché affidassero le proprie carte all'archivio del partito. Tale richiesta si poggiava sulla convinzione che l'elaborazione e l'azione dei singoli acquistassero significatività storica e politica in quanto parte integrante dell'elaborazione e dell'azione collettiva del partito.
È da questo momento che arrivarono alla Fondazione, in anni diversi determinati dalle vicende biografiche dei singoli, gli archivi dei più importanti dirigenti comunisti. A questo proposito, è necessario fare alcune osservazioni che ci aiutano a comprendere la fisionomia di quegli archivi. La concezione prevalente era che un dirigente non poteva trattenere tra le proprie carte i documenti di partito. La conservazione di quelle ultime in un posto diverso dall'archivio del partito stesso era considerata un depauperamento del patrimonio archivistico e una forma di soggettivismo non accettabile. Tale regola è stata sempre condivisa anche da quei dirigenti che avevano forti il senso e la consapevolezza del proprio valore. Pertanto, è raro trovare tra le carte di personaggi quali, Grieco, Sereni, Amendola documenti di partito. Le eccezioni a questo comportamento – costituite, per esempio, da Tasca e Secchia – confermano il principio generale che si è cercato di esporre: la presenza di documenti più propriamente di partito all'interno di un archivio personale sottolinea la rottura politica e la divaricazione dell'esperienza personale da quella del soggetto collettivo.
Comunque, nonostante questi importanti passi in avanti, bisognerà aspettare la fine degli anni Ottanta perché il rapporto tra archivio storico del Pci e Fondazione acquisti un carattere meno episodico e più «istituzionalizzato». Fino a quella data, l'arrivo di materiale da Botteghe oscure era regolato dalle richieste che, di volta in volta, avanzavano singoli studiosi su particolari argomenti. I documenti erano selezionati dagli archivisti del Pci, senza che la Fondazione avesse la possibilità di conoscere i criteri in base ai quali veniva operata la scelta. Con la decisione della direzione del 1986, resa pubblica nel 1988, la situazione cambiava radicalmente e dal Pci iniziava il versamento integrale, anche se ancora in copia, del proprio archivio storico del secondo dopoguerra a partire dai fondi più «politici» vale a dire le carte prodotte dagli organismi dirigenti centrali. Ciò spiega il carattere disomogeneo, sia nella consistenza che nella «serialità»), dei diversi fondi, successivi al 1944, presenti nella Fondazione.
L’idea di procedere alla elaborazione di una guida agli archivi conservati presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma prese corpo nell'ormai lontano 1989. Con la decisione della direzione del Pci dell'anno precedente, si erano create le condizioni che rendevano matura l'impresa. Il primo fondo che arrivò all’istituto fu quello dei verbali della direzione a partire dal 1944 e subito si accese intorno a questi documenti l'attenzione degli storici e dei giornalisti che affollarono la sala studio della Fondazione. Alla direzione dell'Istituto – da 1988 affidata a Giuseppe Vacca – non sfuggì la portata del cambiamento che l'arrivo di questa nuova documentazione comportava, trasformando il ruolo svolto dalla sezione archivi nell'ambito dell'organizzazione e delle iniziative dell'istituto. Non si trattava solo di un mero incremento quantitativo ma del fatto che per la prima volta l'intero archivio storico del Pci si ricomponeva: ai documenti provenienti da Mosca e relativi agli anni 1921-1943 si aggiungevano quelli del secondo dopoguerra, creando le condizioni per una lettura più completa e ricca di tutta la vicenda storica del Pci. Inoltre, l'essere il depositario dell'archivio storico di un partito politico imponeva all'Istituto l'assunzione di una precisa responsabilità nei confronti dell'intera comunità scientifica nazionale e internazionale garantendo la massima trasparenza nella gestione di questo patrimonio. Due furono le decisioni prese dalla Fondazione per fare fronte a queste esigenze. La prima fu la formulazione di un regolamento che definisse in maniera chiara i termini della consultabilità degli archivi. Ciò fu fatto tenendo conto delle legittime richieste di tutela della riservatezza avanzate dai proprietari degli archivi conservati nella Fondazione e di massima liberalità dell’accesso alla consultazione presentate dalla comunità degli storici? La seconda fu quella di procedere all'elaborazione di una guida agli archivi. Quest'ultima si presentava, infatti, come un'operazione culturale in grado di soddisfare molteplici richieste: fornire agli studiosi uno strumento di consultazione e di orientamento; garantire all’utenza l'esercizio di un diritto di controllo nel rispetto dei limiti di consultabilità sempre presenti nelle realtà archivistiche; valorizzare il patrimonio conservato dalla Fondazione contribuendo così ad attivare quella circolarità che è propria del rapporto tra ricerca e strumenti della ricerca; stimolare nuove domande a vecchie fonti e aprire nuovi campi di lavoro storiografico.
Esiste ormai un'ampia gamma di tipologie di guide archivistiche generali, particolari, settoriali, tematiche, topografiche. All'interno di ciascuna tipologia, diversi e vari sono i criteri che possono essere adottati per la collocazione e la descrizione del patrimonio archivistico; la scelta del metodo dipende dagli obiettivi che si vogliono raggiungere, dal tipo di archivi su cui si opera, dall'impostazione cultura di chi esegue il lavoro. Dopo aver analizzato i diversi fattori che concorrono alla definizione di una metodologia di lavoro, è maturata la scelta di adottare il modello elaborato e applicato nella Guida generale degli Archivi di Stato italiani. E questo essenzialmente per due considerazioni. Innanzitutto perché abbiamo ritenuto che uno strumento descrittivo che dia conto soprattutto della struttura ovvero dalla forma assunta dalla sedimentazione delle carte «conserva il massimo della polisemia intrinseca all'archivi» e dà la possibilità di soddisfare un’utenza più ampia di quella che potrebbe riconoscersi in guide tematiche o troppo tagliate sulla descrizione del contenuto degli archivi. Infatti, per quanto analitica e precisa quest'ultima possa essere, vi è sempre una selezione soggettiva basata sull'interpretazione di chi effettua la descrizione. La seconda considerazione ha la valenza di una sfida. È possibile esportare l'esperienza della Guida generale, maturata e sperimentata prevalentemente su archivi di organi statali, adattandola a realtà archivistiche di diversa tipologia e formazione? I criteri descrittivi adottati per la Guida generale possono esercitare il ruolo di modello per una normalizzazione di questo specifico strumento di ricerca? La risposta a questi interrogativi è stata positiva. È necessario precisare, però, che il modello della Guida generale non è stato applicato rigidamente. I principi mutuati da quell'esperienza, così importante per gli archivisti italiani e non, possono essere riassunti in alcuni punti: a) adozione del criterio della rappresentazione della struttura archivistica con le sue articolazioni e gerarchie; b) coerenza e omogeneità dei livelli descrittivi; c) differenziazione costante delle aree descrittive all'interno dei fondi. A questi principi, che potremmo definire di orientamento per la fase di progettazione e impostazione del lavoro, va aggiunto quello, non meno importante, dell'applicazione uniforme dei criteri di trasmissione delle informazioni perché «nell'elaborazione degli strumenti di ricerca, i criteri formali di presentazione delle informazioni – basati essenzialmente sulla gerarchia dei titoli, sulla scelta dei corpi e caratteri differenziati e di spazi delimitanti aree distinte, sull'uso logico e costante della punteggiatura e delle maiuscole – rappresentano non un mero fatto estetico, peraltro importante, ma un sistema di comunicazione che renda anche graficamente leggibile la struttura del fondo, l'articolazione delle serie, la descrizione delle unità fondata su criteri filologici».
La fase più impegnativa del presente lavoro è stata quella della comprensione della natura e della tipologia degli archivi presenti nell'Istituto. L’applicazione del principio di provenienza e del criterio basato sull'individuazione delle modalità di formazione dei fondi ci ha aiutato a distinguere due grandi sezioni: quella degli archivi propri e quella degli archivi impropri. Della prima fanno parte i fondi delle organizzazioni e di persone e della seconda i fondi che non sono stati prodotti da un ben preciso soggetto ma che sono prevalentemente il risultato di un'azione di recupero effettuata per iniziativa o degli operatori che hanno lavorato in tale settore o dell'Istituto stesso o di singole persone. Rendere esplicita tale distinzione è di fondamentale importanza soprattutto quando si opera in strutture, come la Fondazione Istituto Gramsci, dove, per motivi facilmente comprensibili, la demarcazione tra istituto di conservazione di archivi storici e centro di documentazione non sempre è ben netta.
Anche l’identificazione dei soggetti produttori ha comportato un notevole impegno di ricerca e di studio. Eccezion fatta per gli archivi di persone, che presentavano problemi di descrizione e non di identificazione, la sezione dei fondi prodotti dalle organizzazioni presentava delle difficoltà; in particolare la parte dell’archivio del Pci relativa agli anni 1921-1943. In questo caso, la tradizione archivistica dell’Istituto, utilizzata ampiamente da tutti gli storici che hanno studiato e citato documenti provenienti da tale fondo, non reggeva alla verifica del metodo storico. Si pensava comunemente, infatti, che i fascicoli ivi compresi facessero parte tout court dell’archivio del Pcd’I, i cui originali sono conservati a Mosca. In realtà, la ricostruzione del complesso percorso archivistico e storico effettuato da queste carte - di cui diamo notizia nella relativa scheda della Guida- ci ha convinto che sia più corretto parlare di fondo del Pcd’I come parte dell’archivio della Terza internazionale.
Una volta chiarito il quadro generale all’interno del quale muoverci e stabilite le strutture e le articolazioni dei vari aggregati archivistici, è stato scelto come livello di base su cui poggiare la descrizione archivistica il fondo. Per individuare i fondi abbiamo trovato particolarmente efficaci le indicazioni fornite da Paola Carucci, che definisce il fondo «ciascun complesso documentario che abbia un carattere di unitarietà, sia che si tratti dell’archivio di un determinato ente (archivio in senso proprio), sia che si tratti di un complesso di documenti prodotti da enti diversi ma confluiti per ragioni varie nell’ente che ha effettuato il versamento o il deposito, sia che si tratti di un complesso di documenti che sia il risultato di smembramenti, fusioni e riordinamenti eseguiti in Archivi di concentrazione, sia che si tratti di miscellanee o di raccolte». Tale definizione ci ha permesso di poter applicare lo stesso livello per tutti e tre i tipi di archivio presenti nella Fondazione vale a dire sia per gli archivi di organizzazione (il fondo corrisponde alla struttura che ha prodotto e/o ricevuto le carte), sia per quelli di persone (il fondo corrisponde al personaggio), sia per le raccolte (il fondo corrisponde alla singola raccolta). In alcuni casi (Terza internazionale, Partito comunista italiano, Archivio storico delle donne Camilla Ravera), quando la struttura del soggetto produttore nonché l’organizzazione della sua memoria storica si presentavano particolarmente complesse e articolate, è stato necessario introdurre un livello superiore, il superfondo. Il più delle volte, il fondo è stato articolato in serie; in rari casi in sottoserie. Solo in due casi (Federazioni e Antonio Gramsci) abbiamo introdotto il raggruppamento di serie che è un livello privo di rilievo strutturale ma funzionale a una più agevole lettura. Per il fondo Palmiro Togliatti è stato necessario prevedere una specifica ripartizione per indicare due tranches di documenti di diversa provenienza e formazione.
È necessario, a questo punto, fare una precisazione. Gli archivi conservati nella Fondazione si presentano in maniera diversa: in alcuni casi sono ordinati per materia, in altri cronologicamente; alcuni non sono ordinati, altri riproducono l'ordinamento originario. In tali situazioni, è molto forte la tentazione di far precedere la fase descrittiva da interventi di ordinamento o riordinamento. Ma, eccezion fatta per alcuni fondi per i quali tale passaggio è stato ineludibile pena l’impossibilità di descrivere il materiale, motivazioni di ordine pratico, facilmente comprensibili, hanno spinto a operare tenendo ben separati il lavoro della guida da quello dell'ordinamento. Laddove lo stato delle carte non permetteva una descrizione aderente al reale ordinamento, si è seguito il suggerimento avanzato nelle istruzioni operative del 1969 per la stesura della Guida generale, da Pavone e D'Angiolini i quali insistevano «sulla necessità di dare un minimo di organizzazione razionale alla voce, procedendo sulla carta, quando non fosse stato possibile operare sulle carte, alle distinzioni e ai raggruppamenti richiesti visto che «per la compilazione di una guida non è necessario che gli archivi siano ordinati e inventariati e poiché «le svariatissime strutture con cui gli archivi stessi si presentano non possono essere riproposte sic e simpliciter», si è individuato un modo «convenzionale» per la descrizione dei fondi applicato in maniera omogenea e uniforme. Pertanto, quando non è stato possibile far coincidere la descrizione con l'ordinamento reale delle carte, sono stati costruiti fondi (Giovanni Amendola e Tatiana Schucht) e serie «virtuali», vale a dire aggregazioni di dati che sono tali solamente sulla carta ma che non corrispondono all'ordine materiale dei documenti. La creazione di queste realtà virtuali non è avvenuta in modo arbitrario ma è stata il risultato di uno studio archivistico e storico delle carte e del soggetto che le ha prodotte. Nel caso di archivi di persone, la elaborazione di serie quali Corrispondenza, Scritti e discorsi, Documentazione è stata operata estendendo un'organizzazione esistente in archivi già ordinati e che ben si adattava a quelli non ordinati. In questi casi, il modello elaborato per la descrizione nella Guida può servire anche per effettuare, successivamente, l’ordinamento reale delle carte. Un caso diverso è rappresentato dal fondo Pcd’I 1921-1943. L’ordinamento cronologico di quest’ultimo rendeva molto difficile la descrizione delle carte. Le serie virtuali sono state elaborate dopo aver constatato che, all’interno di ciascun anno, le carte erano disposte secondo un percorso gerarchico che andava dai documenti prodotti dagli organismi centrali internazionali a quelli delle strutture periferiche, dagli organi dirigenti alle sezioni di lavoro, dal partito alle organizzazioni di massa. In altri termini, l’analisi della documentazione aveva evidenziato una sorta di «titolario» non formalizzato che, pur non essendo stato applicato per ordinare materialmente le carte, poteva servire alla descrizione dei documenti del fondo secondo uno schema che, in ultima istanza, non sconvolgeva i principi a cui si era ispirato il soggetto produttore nella formazione dell’archivio.
Questa impalcatura è trasmessa al lettore attraverso l’uso costante e omogeneo di spazi e caratteri tipografici. Il nome del superfondo è evidenziato con il carattere maiuscolo; quello del fondo con il maiuscoletto alto e basso; quello della serie con lo spaziato; per la sottoserie si è usato il tondo facendo rientrare la relativa descrizione. I raggruppamenti di serie che, come abbiamo specificato, non hanno una rilevanza strutturale, sono indicati con il carattere tondo rientrato a destra.
L‘ordine in cui sono stati presentati i fondi corrisponde a un inquadramento che possiamo definire tipologico. La lettura del sommario ci aiuta a comprendere l’organizzazione complessiva della Guida. Innanzitutto va sottolineato che nel sommario compaiono solo i fondi. Questi sono accorpati in tre sezioni. Nella prima sono collocati gli archivi prodotti da organizzazioni politiche e culturali; nella seconda gli archivi di persone; nella terza gli archivi che abbiamo definito «impropri», vale a dire raccolte, collezioni ecc. di varia provenienza. Mentre all’interno della seconda e terza sezione i fondi si succedono secondo il semplice ordine alfabetico, la complessità della prima sezione ha reso necessaria un’ ulteriore tripartizione non formalizzata da titoli. Nella prima sottoripartizione vi sono, disposte in ordine cronologico, le carte degli organismi internazionali: Terza internazionale (che è un superfondo), Soccorso rosso, Internazionale contadina; nella seconda trovano posto, sempre in ordine cronologico, due fondi che hanno una loro specifica autonomia e provenienza: Pcd’I 1922-1925 e Brigate Garibaldi; nella terza è collocato il superfondo Partito comunista italiano che raccoglie tutti i fondi del partito prodotti dopo il 1943. L’ordine di presentazione di questi ultimi è gerarchico; eccezion fatta per i primi due fondi che riguardano gli anni della Resistenza, i successivi procedono partendo dall'istanza più alta e rappresentativa – il congresso, fonte di legittimazione delle altre strutture – e passando per gli organi centrali, le sezioni centrali di lavoro – disposte secondo quella che era la tradizionale scala di importanza le strutture periferiche e gli organismi internazionali, che, nel secondo dopoguerra, non svolgevano, almeno ufficialmente, lo stesso ruolo di quelli del periodo precedente. Come si può notare, l'organizzazione della prima sezione è effettuata utilizzando sia il criterio cronologico sia quello funzionale. Ci è sembrato che in questo modo venisse reso più evidente l'intreccio che caratterizza la storia, le modalità di formazione nonché il recupero degli archivi conservati nella Fondazione. Questo schema di presentazione è utilizzato anche per la descrizione del patrimonio archivistico conservato dagli altri istituti Gramsci.
Così delineata la struttura generale della Guida, si può passare ad analizzare le informazioni fornite al lettore. La scheda descrittiva che accompagna i singoli fondi è idealmente divisa in due aree che si identificano in base alla qualità dei dati presentati. La prima area potrebbe essere definita come area delle informazioni sussidiarie. In essa rientrano tutti quei dati relativi alla biografia, alla storia dell'ente, agli strumenti bibliografici che svolgono una funzione di supporto nella ricerca archivistica. L’obiettivo è quello di fornire non un quadro esaustivo bensì solo quegli elementi che, a giudizio delle autrici delle schede e della curatrice, favoriscono una contestualizzazione storica dei documenti presenti nel fondo. La seconda area è quella delle informazioni primarie vale a dire la vera e propria descrizione archivistica. La visualizzazione di queste due parti della scheda è ottenuta attraverso l'uso di due corpi tipografici diversi: più piccolo per la prima area, più grande per la seconda. Per ogni fondo vengono fornite le seguenti indicazioni:
a. Intestazione. Il criterio seguito è quello di chiamare il fondo con il nome del soggetto produttore delle carte. Laddove non è stato possibile – come nel caso delle raccolte o di alcuni fondi che sono pervenuti alla Fondazione in maniera tale da rendere difficile l'esatta individuazione della struttura (Materiali del Kominform, Organizzazioni, comuniste della Venezia Giulia) – il nome indica il contenuto generale delle carte.
b. Dati generali. Gli elementi forniti sono relativi alla consistenza, agli anni, al supporto materiale (indicato solo nei casi in cui non si tratta di originali), ai mezzi di corredo. Questi dati sono forniti sempre a livello di fondo; è stato possibile riportarli anche disaggregati per serie solamente nei casi in cui queste ultime corrispondono all'ordinamento reale delle carte: mancano, quindi, per le serie virtuali e per i fondi disordinati o in via di ordinamento.
Le informazioni relative alla consistenza sono date rispettando le unità di conservazione effettivamente usate (fascicolo, busta, scatola). Va precisato che il fascicolo è stato utilizzato dagli archivisti della Fondazione che hanno lavorato all'organizzazione dei documenti sia nell'accezione di mera unità di conservazione sia in quella, più propria, di unità archivistica.
Tra i mezzi di corredo, quello più frequentemente citato è l'elenco. Abbiamo scartato la qualifica di inventario perché gli strumenti attualmente utilizzati per la consultazione sono stati elaborati con criteri propri di una lista di documenti piuttosto che con quelli scientifici dell'inventario. Quando tra i dati generali non compaiono indicazioni circa il mezzo di corredo, significa che il fondo ne è privo o possiede strumenti di consultazione relativi a singoli spezzoni di documentazione. In quest'ultimo caso, è segnalato accanto alla serie cui si riferisce.
c. Storia istituzionale e biografie. Come precedentemente segnalato, sono stati riportati solamente i dati giudicati utili per la definizione di coordinate storiche all'interno delle quali leggere i documenti.
d. Bibliografia. Sono segnalati i repertori bibliografici e archivistici, le opere biografiche e autobiografiche, le pubblicazioni di scritti e di documenti, i lavori storici che danno conto della storia delle strutture organizzative. Per quanto riguarda il Pci, la vasta mole di pubblicazioni nella forma sia di storie generali, sia di storie di singoli dirigenti, sia di edizioni di atti ufficiali di partito e di documenti tratti dall'archivio dello stesso, ci ha sconsigliato di procedere alla formulazione di una bibliografia generale. Indicazioni parziali e strettamente collegate ai documenti, sono state date di volta in volta per singoli fondi.
e. Stona del fondo. Si tratta di informazioni relative alla provenienza delle carte, alle date di versamento presso la Fondazione, agli ordinamenti o riordinamenti effettuati. Nel caso in cui sono utilizzate le serie virtuali, è specificato l'attuale ordinamento fisico del fondo. Come ben sanno gli operatori del settore archivistico, la conservazione della tradizione delle vicende della documentazione scritta è affidata, il più delle volte, ai ricordi dei protagonisti e alla trasmissione orale. Pertanto, quasi tutte le informazioni relative a questa parte della scheda si fondano sulla buona memoria degli archivisti della Fondazione e del Pds.
f. Descrizione archivistica. Eccezion fatta per i fondi di scarsa consistenza, la descrizione è effettuata a livello di serie e, in alcuni casi, di sottoserie. Come abbiamo già sottolineato, obiettivo prioritario era quello di disegnare la struttura dei fondi, la loro articolazione interna, i rapporti gerarchici esistenti fra loro. Ma la descrizione non poteva non illustrare anche il contenuto dei fondi. È questa la parte della scheda più esposta a una formulazione soggettiva. Tenendo conto di questo rischio, sono stati fissati due criteri per orientare la descrizione: la tipologia documentaria presente nonché l'esistenza di nuclei documentari ritenuti particolare mente importanti ai fini della significatività storica dei singoli fondi o serie. Inoltre, si è usata la formula «si segnala» per indicare documenti anomali, materiali prodotti da altri soggetti, carte giudicate interessanti dall'autrice della scheda oppure momenti significativi.
La rilevazione dei dati è stata conclusa alla fine del 1993. L’anno successivo è stato interamente dedicato alla definizione dei criteri redazionali che, come abbiamo già detto, hanno una grande importanza per lavori come questo. Pertanto nella Guida non sono riportati gli incrementi di fondi già esistenti né i nuovi versamenti avvenuti nel corso del 1994.
Vorrei rivolgere un affettuoso ringraziamento a Giuseppe Vacca, che per primo ha creduto in questo lavoro, ne ha condiviso le motivazioni, lo ha seguito nel suo lungo cammino con l'entusiasmo che gli è proprio, e a Paola Carucci, che ha messo generosamente a disposizione la sua esperienza e competenza. Desidero ricordare, inoltre, Mario Serio, fino a qualche mese fa sovrintendente dell'Archivio centrale dello Stato, istituto del quale faccio parte, che mi ha incoraggiato e sostenuto. Si ringraziano, inoltre, Fabrizio Zitelli, Gastone Gensini, Camillo Danieli che con i ricordi maturati nella loro lunga militanza archivistica hanno reso possibile la ricostruzione dei percorsi degli archivi; Marcello Forti che ha sopportato pazientemente le incursioni e le invasioni di campo; Claudio Natoli e Aldo Agosti che hanno fornito utili informazioni; tutti gli amici della Fondazione che hanno seguito la lunga gestazione della Guida e ne hanno atteso, fiduciosi, la pubblicazione.
 
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